12 febbraio 2019
12 feb 2019

Intervista a p. Carlos Luis Suárez Codorniú

di  Antonio Rufete Cabrera, scj

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Un’opportunità per condividere ciò che ci unisce e ringraziare il Signore per questo carisma dehoniano con cui ci ha benedetti e che ci colloca nel Cuore stesso di Dio. Insieme abbiamo parlato della nostra identità e dei giovani, della nostra Missione e di tutte le missioni in cui sono coinvolti tanti dehoniani in tutto il mondo. E abbiamo parlato di educazione, del dialogo con la cultura e come le nostre parrocchie e tutte le comunità sono chiamate ad essere un “faro”. E abbiamo parlato di comunione, di passione e di impegno. Vi presentiamo P. Carlos Luis Suárez Codorniu, scj

Il DNA della nostra spiritualità è condividere la gioia di sentirci amati fino nel più profondo del cuore da Gesù. Da questa esperienza, la nostra vita si entusiasma alla causa del vangelo e comprendiamo che non abbiamo altra scelta se non quella di offrirci anche noi. È la nostra oblazione: donarci senza misura e oltrepassare la misura della generosità.

Lo scorso 20 luglio, inaspettatamente, la sua quotidianità è cambiata. La prima cosa a cui ha pensato è stato il Venezuela e la consapevolezza che questa nuova tappa comportava abbandonare la realtà nella quale ha vissuto negli ultimi trent’anni: cambiare le abitudini quotidiane, le relazioni, il modo di essere e di trovarsi, il tipo di vita apostolica, i progetti iniziati sempre con entusiasmo. Si crea, inevitabilmente, uno strappo: abbandonare qualcosa a cui ci si sente legati e felici di aver fatto parte di quella storia e di quella realtà.

Nato a Las Palmas de Gran Canaria (Spagna) nel 1965. Figlio di Agustín e di Clara e con un fratello maggiore, Javier. Ha vissuto una infanzia normale, in famiglia, vicino ai nonni e alle persone più anziane. Imparare dalla sua esperienza e dalla sua vita, crescere in questo contesto di scambio generazionale lo ha segnato in maniera decisa nell’esperienza di vita fraterna, della nostra vita di comunità. Ha visto nella sua casa gente semplice e laboriosa. La sua formazione è iniziata da lì.

Non possiamo trascurare il suo percorso nel collegio dei Fratelli di La Salle, dove ha avuto un’educazione di base: è stato molto motivante l’esempio di fratelli zelanti nel modo di vivere la vita religiosa e nella sua pedagogia. Ad un certo punto avrebbe voluto essere un fratello di La Salle, confessa.

Incoraggiato dagli altri, si avviò verso processo di preparazione al sacramento della Cresima e iniziò a rivivere quella simpatia per Gesù e per la vita della Chiesa.

In quel periodo, in casa sua arrivò una rivista che la Congregazione in Spagna inviava ai Benefattori, nella quale si citava la testimonianza vocazionale di un Dehoniano canadese appena ordinato e diverse storie missionarie, che suscitarono la sua curiosità e molte domande. In quella rivista c’era anche un indirizzo. Per due anni ha avuta una corrispondenza con l’allora Maestro dei novizi, don Demetrio Jiménez. Nel giorno del suo diciottesimo compleanno entrò nel noviziato della provincia spagnola.

L’ideale missionario lo ha sempre affascinato. Ricorda che la nonna riceveva diverse pubblicazioni dai missionari comboniani: mi piaceva leggere le storie che raccontavano; c’era sempre molto interesse nel vedere cosa accadeva al di fuori dell’isola. La testimonianza dei missionari suscitava sempre in lui l’interesse ad andare oltre. La sua prima destinazione è stata la Regione del Venezuela.

Ricorda, con piacere, che pochi mesi dopo l’inizio della fondazione in India, gli hanno offerto l’opportunità di accompagnare quella prima tappa: ho avuto l’opportunità di ricevere il primo gruppo di giovani che ha iniziato a vivere con noi. Per un breve periodo, ma molto fruttuoso, ha potuto condividere l’emozione di sognare che questi giovani sarebbero stati i primi religiosi di un Distretto che, dopo 25 anni, ha già più di un centinaio di religiosi che non superano i cinquant’anni di età.

Il 20 luglio 2018 è stato eletto Superiore Generale nel XXIV Capitolo Generale della nostra Congregazione. Si sente grato innanzitutto a Dio per avergli permesso di servire la famiglia dehoniana attraverso questo incarico, e anche per la fiducia di coloro che hanno rischiato di pensare che egli fosse in grado di farlo. Allo stesso tempo, è fiducioso che si tratta del volere di Dio: sono molto consapevole dei limiti, di tante cose che non conosco. Ma sento di non essere solo, che il Signore mi assiste e che questa nuova responsabilità è un lavoro di squadra.

A quasi due mesi da questa elezione, ha il coraggio e la volontà di impegnarsi a lavorare e a rispondere alle richieste e bisogni della Congregazione, e farlo nel miglior modo possibile.

Abbiamo una Congregazione molto affascinante

La relazione presentata da p. Carlos Enrique Caamaño, superiore generale, succeduto al p. Heiner Wilmer, presenta una Congregazione che si sente viva, con la gioia di poter servire la Chiesa attraverso il nostro carisma e come percepiamo quanto ci viene chiesto.

Abbiamo una Congregazione molto affascinante. Siamo una famiglia sparsa in più di quaranta paesi, con voglia di fare, con realtà nuove che stanno nascendo con vitalità. Abbiamo anche realtà che invecchiano, che svanendo lentamente dopo un passato brillante, e che affrontano con serenità il passare del tempo.

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sento di non essere solo,
che il Signore mi assiste
e che è un lavoro di squadra

I Sacerdoti del Cuore di Gesù possono affermare, con umiltà, che il Signore li ha benedetti in molti modi, che sono vitali, che questa vitalità si sente, e si sente il desiderio di continuare a costruire e a essere presenti in altre realtà.

Nello scorso Capitolo si sono percepite delle preoccupazioni e persino “insoddisfazioni” affinché ci si senta maggiormente in cammino, con un bagaglio più leggero, più aperto alle sfide che la Chiesa e la società hanno bisogno di affrontare e condividere con noi.

Si deve aver cura della Comunione

Il Capitolo ha espresso il desiderio che il servizio affidato sia espressione di paternità: più che un superiore generale, si chiede un padre generale. Un padre, un fratello, una persona vicina che possa accompagnare, che si interessa, anima, abbraccia e anche corregge, se c’è bisogno. È uno dei sentimenti che sono stati espressi durante il Capitolo. È così che si prepara ad iniziare il suo incarico con il resto del governo generale: essere vicini alle varie realtà e sostenere giorno per giorno ciò che i nostri confratelli vivono nello spirito di Padre Dehon.

Le sue sfide personali sono, senza dubbio, imparare ad ascoltare più profondamente, imparare ad affrontare i diversi ritmi nel fare le cose nelle diverse culture in cui siamo presenti, non affrettarsi nei giudizi dovuti alla mia prospettiva culturale; la sfida di lasciarsi sorprendere: accogliere, ricevere, elaborare e accompagnare. In questi giorni dice a se stesso: Sentiti benedetto per quello che hai e contribuisci come puoi.

La priorità per un religioso dehoniano oggi è, soprattutto credere che Dio lo ama. Credere dal più profondo del cuore che siamo nel Cuore di Dio. Gioire di questa cordialità di Dio. Ciò ci aiuta a conoscere chiaramente chi ci ha chiamati, in chi abbiamo creduto, chi è il nostro Dio, cosa scopriamo in Lui e qual è l’impronta che ha lasciato nella nostra vita, per assaporarla e condividerla.

La scuola del dehoniano, il cammino, è l’esperienza del Dio buono che ci chiama a vivere, seguendo l’esempio del Figlio, il Dio e Uomo vero dal cuore aperto fino alla fine: quest’uomo che va verso la croce, perché il suo cammino umano finisce con il suo costato aperto. Ecco verso dove dobbiamo giungere.

I Dehoniani contemplano quel momento presentato intensamente da San Giovanni nel capitolo 19 del suo Vangelo, che per noi è un  insegnamento continuo. Nella misura in cui faremo questa rilettura condivisa di ciò che Padre Dehon ha maturato e vissuto, mortificato nel suo cuore, ci concentreremo su ciò che ci si aspetta come religiosi, insieme ad uno spirito di disponibilità.

In questi giorni ci sono molti confratelli che hanno offerto le loro preghiere in vista di questo nuovo servizio; la sua risposta è che la preghiera deve essere accompagnata dalla disponibilità, che è ciò per cui siamo chiamati. Al di là dei progetti personali c’è un progetto comune che scopriamo insieme. Nella generosità e nella disponibilità scopriremo la nostra identità, il nostro modo di metterci nella Chiesa.

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La priorità per un religioso dehoniano
è credere dal più profondo del cuore
che siamo nel Cuore di Dio

Dove c’è una comunità dehoniana non può mancare qualche insoddisfazione di fronte a tante realtà che sono quelle che Dio vuole. Il dehoniano, in riferimento alla nostra spiritualità riparatrice, vede un mondo, la società, la Chiesa, se stesso, con squilibri, con situazioni che non sono giuste; e si impegna nel cercare di fare qualcosa. Non si tratta di una attività, ma di una risposta al modello originale, che è il progetto di Dio.

Come riparatori quali siamo, dovremo continuare a lavorare per andare di pari passo con Dio e, con Dio, perfezionare il bel progetto che Dio ha voluto per tutta l’umanità affinché vada avanti. Dovremo continuare a offrire quel desiderio di trasformare un mondo confuso in ciò che Dio ha voluto che fosse; tante situazioni, in cui siamo presenti, e in cui molti soffrono di carenze fisiche, educative e di salute … tante cose che non possono lasciarci indifferenti.

Ci sono cose che devono essere riparate, sanate, abbellite … dalla spiritualità del Cuore di Gesù, Dehon vede la necessità che questo mondo batta al ritmo dell’amore e della passione del Cuore di Cristo.

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seguir ofreciendo esas ganas de transformar
un mundo desdibujado de lo que Dios
ha querido que sea

Il DNA della nostra spiritualità è condividere la gioia di sentirci amati fino al più profondo del Cuore da Gesù. Questo è fondamentale!

Quando padre Dehon afferma “mi ha amato e ha dato se stesso per me”, intende che non si può fare a meno di rispondere nello stesso modo. Da questa esperienza, la nostra vita si appassiona alla causa del vangelo e comprendiamo che non esiste altra alternativa che quella di offrirci anche noi. È questa la nostra preghiera: darci senza misura e oltrepassare la misura della generosità, come diceva il p. André Prévot. Questo è il cammino: L’indicatore del nostro impegno è vedere fino a dove stiamo godendo e assaporando ciò che la nostra vocazione è.

Dehon e i giovani

Il padre Carlos Luis si è dedicato per molti anni alla formazione dei giovani religiosi a Caracas (Venezuela), accompagnandola all’insegnamento della Sacra Scrittura nella Facoltà di Teologia. È convinto che valga la pena proporre il nostro carisma e la nostra missione ai giovani: È la cosa migliore che possiamo fare! Quando qualcuno gioisce della propria vocazione, mette in conto che ciò che vive e talmente bello che deve essere condiviso, invitando altri alla stessa esperienza.

La prima proposta vocazionale nasce da ciò che stiamo vivendo, è il miglior stimolo che possiamo dare agli altri: affinché la nostra vita sia credibile, sia conseguenza di ciò che stiamo professando.  Ed è allora che stiamo invitando altri a condividerla, come i primi discepoli: abbiamo incontrato il maestro e percorriamo le vie e sfidiamo gli altri affinché condividano ciò che noi abbiamo avuto la felicità di conoscere.

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affinché la nostra vita sia credibile,
sia conseguenza di ciò
che stiamo professando

Oggi e sempre sentirci discepoli di Cristo è una benedizione. Nell’espressione del Concilio sulla vita religiosa: camminiamo tutti nella Chiesa con Lui, ma più da vicino non perché siamo migliori, ma perché siamo quelli che hanno bisogno di ascoltare di più. Così siamo noi che vogliamo avvicinarci di più per ascoltare meglio. Non siamo i migliori, abbiamo problemi di udito – scherza – ma stiamo sintonizzando le nostre orecchie per sentire cosa dice il maestro. E dobbiamo continuare a fare questa proposta impegnandoci di più con il mondo dei giovani nell’ambito dell’insegnamento, nelle periferie, nel mondo del lavoro, ecc. C’è molta gioventù che ci viene presentata con un’opportunità per avvicinarci ed essere presente tra loro, e per esperienza, pensiamo che ne valga la pena.

L’essenza di una parrocchia dehoniana

Il p. Dehon ha sempre voluto stare con il suo popolo, nelle realtà sociali più complesse, una parrocchia che sia un faro che illumina tutta la realtà, tutto il territorio; un faro che ricorda che Dio c’è, in mezzo a noi e ci ama. Il desiderio di Dehon è che le nostre parrocchie siano comunità dove si vive la gioia della vita; siano memoria cosciente e che siano parlanti, che diano un messaggio chiaro di questa buona novella; parrocchie accoglienti che sappiano conquistare il cuore di coloro che vi passano e parrocchie, soprattutto quelle missionarie, che escono e che annunciano, che invitano.

È secondo il modo in cui svolgeremo questo lavoro parrocchiale in tanti posti del mondo, come espressione di un modo di essere Chiesa, di contribuire a comprendere la sequela di Cristo, saremo in grado di aggiungere riparatori: parrocchie che siano dei laboratori.

La nostra presenza educativa

Parlare di educazione è parlare delle nostre origini e dell’ideale di Dehon di credere che la gioventù è speranza, è una porta per un cambiamento credibile, una gioventù che sia accompagnata e che sia formata nel suo intimo.

L’educazione per un dehoniano va al di là di una eccellenza accademica e i risultati in un curriculum, e si concentra affinché la persona in processo formativo abbia gli strumenti che la accompagneranno nel suo percorso: un modo di essere nella società, di preoccuparsi, di voler rispondere agli altri. Educare è aiutare ad allargare il cuore, a sentire che questo mondo è nostro e che abbiamo qualcosa da fare, che ciò che accade introno a me non può lasciarmi indifferente.

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che i giovani si appassionino
alla società,
di stare attenti alle insoddisfazioni

Uno degli obiettivi di Dehon, fin dall’inizio, è stato quello di far sì che i giovani si appassionino alla società, di stare attenti alle insoddisfazioni, di non adattarsi a ciò che già esiste, ma di essere in grado di rispondere secondo quanto è nel cuore di Dio, e quindi rispondere al progetto di Dio, ed essere un impulso nella vita quotidiana.

Abbiamo la sfida di guardare a come attualizzare la nostra presenza nel mondo dell’educazione. Forse non è sempre possibile da una scuola tradizionale, un liceo, un istituto, una facoltà, ma dobbiamo cercare di coinvolgerci in diversi modi di insegnamento…

La missione ad gentes

Uscire dai nostri confini è una benedizione. Avere l’esperienza di condividere la vita con altre culture, con altri popoli, arricchisce; è uno dei modi più belli di poter vivere la nostra vocazione, dice padre Carlos Luis.

L’invio di missionari non ha perso di vitalità tra di noi, ed è stato un aspetto molto curato da p. Dehon fin dagli inizi. Egli si sentiva missionario attraverso i confratelli che furono inviati nei diversi luoghi alcuni molto complicati – come egli affermava – dove si muore giovani, e in tanti diedero la vita, come ricordiamo nel giorno della Memoria Dehoniana.

Al tempo stesso, è la gioia di poter comunicare la buona novella. Non possiamo chiuderci perché questa è la logica stessa della nostra fede cristiana, la contemplazione dell’Incarnazione, “l’uscita” di Dio donandoci il suo Figlio, che è l’esodo di Dio che ci viene incontro. L’esodo che vive Gesù dal suo concepimento, con Maria e Giuseppe, dall’uscita dalla sua terra, oltrepassando i limiti che a volte gli imponeva la cultura stessa, è il modello che dobbiamo seguire.

Una Congregazione che rimane missionaria ricorda all’umanità che questo mondo è la Casa di tutti. Papa Francesco ha insistito molto su questa idea che il mondo è Casa: ciò che succede dall’altra parte del mondo, anche se non lo vediamo, ci colpisce comunque. Siamo chiamati a sentirci cittadini del mondo, a uscire dai nostri nazionalismi o etnicismi che possono impoverirci quando ci paragoniamo, allontaniamo o affrontiamo. Dobbiamo stare attenti alle differenze che ci rinchiudono in baluardi inespugnabili e a quando la mia originalità è condivisa come dono per gli altri.

In dialogo con la cultura, un dialogo di ragione e anche di carità e di passione

Padre Carlos Luis ha dedicato gli ultimi diciotto anni alla formazione teologica nella Facoltà di Teologia dell’Università Cattolica del Venezuela, della quale è stato rettore, e nell’Istituto di Teologia della Vita Religiosa, un’esperienza di “intercongragazionalità” nella quale ha potuto lavorare fianco a fianco con altre Congregazioni e arricchirsi di altri carismi. Egli stesso ha completato i suoi studi in questa pedagogia. Si stratta di un progetto accademico che vincola la realtà sociale con la pastorale. Mai l’accademico appare sfocato in un contesto in cui si vive e fa teologia. Questa esperienza lo ha aiutato molto a capire che ciò che studiamo ha sempre un perché, o meglio, un per chi. La fatica dello studio non può mai essere esaltazione di vanità, ma un’offerta. Il lavoro della ragione è sempre accompagnato e guidato dalla generosità.

Ciò che il dehoniano offre a questo dialogo è un’attitudine, un modo di essere al servizio in maniera incondizionata per restare uniti, non per essere rivali. Ciò suppone riconoscere sempre i propri limiti e la ricchezza che possiede l’altro. Si tratta di vedere come il tuo e il mio ci arricchiscono, senza che nulla venga distrutto.

Anche questo è riparare: lavorare con gli altri senza la presunzione del sapere, del fare e del nostro modo di procedere; cercare ciò che Dehon leggeva nel vangelo di Giovanni, “che siate uno”, senza annientare, ma cercando di far sì che la diversità ci aiuti a crescere nella comprensione e nella fraternità, che è ciò a cui dovremmo sempre mirare. Se il dialogo è solo un parlare, rimarrebbe sterile perché non porterebbe da nessuna parte, e di certo non al vangelo.

Alla domanda sull’importanza che la teologia ha oggi in Venezuela, risponde che l’impronta di Papa Francesco segna una direzione: parla la teologia del popolo. L’accento deve essere sempre posto sulla teologia: pensare a Dio, esprimere ciò che scopriamo, apprendere ciò che abbiamo contemplato in Lui.

Non può fare teologia al di fuori della realtà. In un contesto in cui la Chiesa si riconosce come popolo, come popolo di Dio, e vuole camminare insieme al popolo, e si impegna ad essere più vicina, incontrando molti uomini, nostri fratelli, che ci esortano e chiedono aiuto per poter dare luce alle loro sofferenze, a ciò che patiscono, a ciò che desiderano. È questo il modo in cui la teologia si incarna. L’urgenza oggi in Venezuela è quella di una teologia della speranza che sostiene che Dio è il Signore della storia, e non quelli che con i loro piani causano una situazione di disagio, di dolore, di calamità. Una speranza che suscita impegno e voglia di essere coinvolti, a partire dalla fede, per realizzare con tutti la trasformazione di un Paese.

Famiglia dehoniana e missione condivisa

Questa realtà abbondante nella nostra Congregazione ci aiuta a ricordare che i carismi sono di Dio. Ciò che il p. Dehon ha vissuto, lo ha condiviso con un gruppo di laici fin dagli inizi della Congregazione. Non possiamo dimenticare come i laici siano stati sempre molto vicini al progetto dei Sacerdoti del Sacro Cuore di Gesù del Fondatore.

È una grandissima benedizione perché ci ricorda, prima di tutto, che il carisma è del popolo di Dio; ciò che Dehon accolse non era solo per i suoi religiosi, era per le famiglie, per gli uomini e le donne che desideravano una sorta di consacrazione, e per tanti altri che volevano vivere la propria vita e la propria fede con intensità.

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ciò che Dehon accolse
non era solo per i suoi religiosi

Il volontariato, per esempio, attraverso il quale si edificano le persone che incontrano la figura del nostro fondatore e, allo stesso tempo, scoprono le cose che amano: il loro modo di essere, come hanno affrontato un periodo molto complesso della società, e il loro impegno a rispondere a tante situazioni.

La nostra Congregazione è come un grande ombrello che dà riparo a molti: i religiosi, diversi gruppi di movimenti che sono nati, altre forme di consacrazione come la Compagnia Missionaria, o altre forme di vita così vicine come le Ancelle del Cuore di Gesù a cui siamo così legati dalla nostra storia. Non smettiamo di avere legami con molte persone e, a seconda di come ci incontriamo, aiuteremo molto nel perfezionare il progetto e crescere nella missione.

Vediamo già con speranza questo laicato crescente in molte parti del mondo, che si sente profondamente identificato con il messaggio e la proposta di P. Dehon.

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