03 novembre 2020
03 nov 2020

Tre punti in comune tra le Costituzioni SCJ e l’Enciclica “Fratelli tutti”

Non possiamo, infatti, essere indifferenti al fratello che viene colpito; dobbiamo entrare in contatto con le sue ferite, con la sua carne.

di  Marcelo A. Reynoso, scj

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Egoismo come anti fraternità

Il titolo di questa sezione riflette un primo luogo comune tra l’enciclica e le nostre costituzioni.  Queste ultime caratterizzano l’egoismo come “il rifiuto dell’amore di Dio e della fratellanza” (Cst 95a; cfr. 4c e 36). Da parte sua, l’enciclica “Fratelli tutti” (FT) amplia questa prospettiva toccando temi concreti; (i) Il primo di questi è l’uso della metafora dei muri (cfr. FT 27). Per il Papa si tratta di autentici muri materiali – conflitti e nazionalismi – che affondano le loro radici nei muri del cuore; lì nascono le varie forme di egoismo: violenza, corruzione (sistemi corrotti), razzismo, xenofobia e chiusura alla trascendenza (cfr. FT 11, 86, 89, 89, 97, 97, 113, 125, 166 e 283). “Il pericolo maggiore non sta nelle cose, nelle realtà materiali, nelle organizzazioni, ma nel modo in cui le persone le usano” (FT 166); (ii) in un secondo tema concreto il Papa afferma che “un cammino di fraternità, locale e universale, può essere percorso solo da spiriti liberi, pronti per incontri reali” (FT 50); (iii) nell’analizzare la parabola del Buon Samaritano, descrive il comportamento dei personaggi del sacerdote e del levita come “una pericolosa indifferenza di non fermarsi, innocente o meno, prodotto e triste riflesso di quella distanza  netta  che si pone di fronte alla realtà” (FT 73); (iv) l’enciclica invita a rinunciare “alla meschinità e al risentimento degli interiorismi sterili, degli scontri senza fine” (FT 78); (v) quando avverte il pericolo di “un’intimità egoistica nella sembianza di relazioni intense” che annullano il senso sociale (FT 89).

Riparazione come riconciliazione

Un secondo punto di convergenza si trova nell’espressione “riconciliazione riparativa”. A questo proposito leggiamo nelle nostre Costituzioni che Cristo ha compiuto l’opera della salvezza “suscitando nei cuori l’amore per il Padre e per gli altri: un amore rigenerante, fonte di crescita per i singoli e per le comunità umane” (Cst 20; cfr. 63 e 78). Sviluppando la stessa linea, Papa Francesco, utilizzando la figura del Buon Samaritano come immagine dell’Enciclica, ci invita ad una “riconciliazione riparatrice”. Si tratta di una riconciliazione che (i) “ci solleverà e ci farà perdere la paura di noi stessi e degli altri” (FT 78); (ii) ha come fonte l’amore che “crea legami ed espande l’esistenza quando attira la persona fuori di sé verso l’altro” (FT 88); (iii) ci invita a “diventare capaci di uscire da noi stessi” (FT 89) e ad accogliere ciò che c’è di buono nell’esperienza degli altri come opportunità di crescita (cfr. FT 134 e 147).

Occorre anche sottolineare la duplicità del samaritano e dell’ospite come figura di “noi” (cfr. FT 78). Il Papa insiste sul fatto che, per replicare la misericordia, “è necessario un dialogo paziente e fiducioso” (FT 134; cfr. 229, 231, 236 e 244). È proprio in questo aspetto che noi dehoniani abbiamo la possibilità di dare testimonianza, perché “nelle nostre comunità cerchiamo insieme la volontà di Dio, in un dialogo vero e fraterno, alla luce e in vista del bene comune” (Cst 109; cfr. 66-67).

Lavorare per la fraternità come riparazione

Come dehoniani, siamo convinti che “in questo amore di Cristo troviamo la certezza che la fratellanza umana può essere raggiunta” (Cst. 18b; cfr. 65 e 12). È nel mondo, quindi, “dove Cristo oggi libera gli uomini dal peccato e restituisce l’umanità all’unità” e “dove Cristo ci chiama a vivere la nostra vocazione di riparazione” (Cst 23b; cfr. 35c, 37 e 53).

Egli accoglie con favore l’armonia di queste affermazioni con quanto espresso nell’enciclica. Per il Papa “l’amara eredità di ingiustizia, ostilità e diffidenza” può essere superata solo “superando il male con il bene (cfr Rm 12,21)”; si tratta di una forza capace di rinunciare alla vendetta (cfr FT 238, 242-243, 251-253 e 266). Il superamento del male richiede da parte nostra un atteggiamento simile a quello del buon samaritano. Non possiamo, infatti, essere indifferenti al fratello che viene colpito; dobbiamo entrare in contatto con le sue ferite, con la sua carne. Nella nostra società è imperativo prestare attenzione alle vittime di violenza e di abusi e ascoltarle con cuore aperto (cfr. FT 209-216, 261, 227 e 246). L’enciclica ci invita quindi a prendere posizione contro la violenza.  Ci sono tre passi biblici che fanno luce su questa posizione: (i) ” Forgeranno le loro spade in vomeri” (Is 2,4); (ii) quella che il Papa chiama la reazione che venne dal cuore di Gesù a un Pietro violento: “Rimetti la spada al suo posto! (Mt 26,52); e (iii) un avvertimento da Gen 9,5-6 (cfr. FT 270).

La FT, come le nostre Costituzioni (cfr. Cst 20, 35, 65 e altre), tocca la centralità della Trinità in questo ministero. Infatti, “senza l’apertura al Padre di tutti, non ci saranno ragioni solide e stabili per la chiamata alla fratellanza” (FT 272). La centralità dell’amore trinitario è sottolineata riferendoci al più ampio contesto delle due citazioni di questo numero. Ci riferiamo a un’omelia di Francesco (cfr. nota 260) dalla quale viene trascritta solo una breve frase: “solo con questa consapevolezza dei bambini che non sono orfani possiamo vivere in pace tra noi”; e al numero 19 della “Caritas in Veritate” (il terzo documento più citato in FT).

Quello che è scritto qui è solo uno schema di alcuni tratti comuni tra la lettera enciclica e le nostre Costituzioni. Senza dubbio ci saranno altri aspetti che dovranno essere illuminati da ulteriori riflessioni.

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