I dehoniani del sud da diversi anni sono aperti all’accoglienza di migranti. Storie di accoglienza prima e durante la pandemia
Tunde il panettiere
Tunde fa il panettiere a Torino. È stato per oltre tre anni nel nostro centro di accoglienza per cittadini stranieri richiedenti protezione internazionale. Avrebbe voluto fare il calciatore professionista – ed era anche bravo – ma la responsabilità di essere un padre di famiglia lo spinse a imparare subito un mestiere poco ambito, in modo da trovare lavoro al più presto. Nel nostro centro cucinava per tutti; era accurato e rispettoso delle norme di igiene che aveva imparato durante un corso a cui lo avevamo iscritto. Lo proponemmo come aiuto cuoco in un ristorante di Sorrento ma ben presto si fece notare per la sua grande volontà di apprendimento e passò al panificio della stessa azienda. Sì, perché per fare il panettiere si lavora di notte e non tutti sono disponibili a tale sacrificio. Ora, a Torino, è il responsabile di laboratorio di una panetteria. Antonio, suo figlio, è nato nell’ottobre del 2014, pochi giorni dopo l’inizio della nostra attività di accoglienza. Porta il nome di uno degli operatori del centro al quale gli ospiti erano particolarmente affezionati. È stato battezzato nella cappella del Centro di Apostolato “P. Dehon”, in Via Marechiaro a Napoli; lo stesso centro che la Congregazione Dehoniana ha messo a disposizione per l’accoglienza dei migranti, gestito dal Gruppo Laici Terzo Mondo.
Conventi aperti
In quel periodo, Papa Francesco raccomandava a tutti i religiosi di aprire le loro case per contribuire ad “accogliere” quelle moltitudini che popolavano “l’esodo africano”. Sbarcavano a centinaia di migliaia e non c’era mai posto a sufficienza per ospitarli. Tra il 2015 e il 2018 si registrava un numero di arrivi che oscillava tra i 170.000 e i quasi 200.000 ogni anno.
È stata una bella esperienza. Ci ha dato l’opportunità di esercitare la carità, ma ci ha anche arricchito e reso migliori. Ci ha fatto conoscere tantissime persone che, diversamente dall’immagine stereotipata dello straniero, ci hanno reso partecipi dell’estrema povertà da cui scappavano, delle atrocità subite lungo il percorso per arrivare in Italia, delle tante ingiustizie che si consumavano sotto i nostri occhi a causa di pregiudizi meschini e ingiustificati.
La storia di Tereza e Ibrahim
Tereza è andata in Germania e fa le consegne a domicilio per conto di una multinazionale: fa la “rider”. Guadagna poco e lavora tantissimo ma è contenta perché può condurre una vita onesta e dignitosa, lontana dagli stenti a causa dei quali aveva perduto la sua bambina in Africa. Quando andò via, lasciò un biglietto di saluto e di ringraziamento agli operatori del centro di accoglienza. È ancora attaccato in bacheca. Nessuno ha il coraggio di toglierlo. Strapperebbe una lacrima anche al più bisbetico degli uomini.
Ibrahim viene dalla Sierra Leone ed era il responsabile della pulizia degli ambienti comuni del centro di accoglienza. Bastava un fazzolettino abbandonato sul pavimento per mandarlo su tutte le furie, imbracciare scopa e paletta e dispensare paternali al primo che gli capitava a tiro. Ha la cateratta ad ambedue gli occhi, degenerata rapidamente nel corso del 2020, nonostante la sua giovane età. È ospite di un altro centro di accoglienza ma continua a rivolgersi a noi per l’assistenza sanitaria. E noi, fedeli alla nostra missione, lo aiuteremo finché non risolverà il problema con un’operazione chirurgica.
La nostra opera continua
A partire dal 2019, per varie ragioni riferibili agli accordi internazionali e alla chiusura delle frontiere, sono diminuiti drasticamente gli sbarchi sulle coste italiane e quindi non c’è più bisogno di molti centri di accoglienza. Gli arrivi sono ben inferiori ai 10.000 l’anno e le strutture governative riescono facilmente ad assorbirli in condizioni dignitose.
Per questa ragione, a fine 2020, dopo sei anni di servizio accogliente, abbiamo deciso di porre fine a questo impegno, percepito come obbligo umanitario e responsabilità morale verso tanti giovani e bambini che ci sono stati affidati e che noi abbiamo avviato verso un futuro dignitoso.
Ma la nostra opera continua. I nostri missionari, con i tanti volontari, rimangono impegnati tra gli “ultimi” di quei Paesi poveri ancora vittime di squilibri esistenziali, dovuti alla cattiva distribuzione della ricchezza e alla difficoltà di accesso ai servizi primari, come cibo e sanità. Sono disuguaglianze per le quali Papa Francesco continua a fare appello ai “grandi” della terra, alle organizzazioni internazionali e alle persone di buona volontà.
La disuguaglianza come malattia sociale
Il Santo Padre, in un’udienza generale di agosto 2020 è stato molto duro: “…i sintomi di disuguaglianza rivelano una malattia sociale; è un virus che viene da un’economia malata. È il frutto di una crescita economica iniqua, che prescinde dai valori umani fondamentali. Nel mondo di oggi, pochi ricchissimi possiedono più di tutto il resto dell’umanità. È un’ingiustizia che grida al cielo!”.
La Santa Messa del settimo anniversario della sua visita del 2013 a Lampedusa il Santo Padre la dedica ai migranti e cita un versetto del Vangelo per riassumere le sue sollecitazioni: “Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”.
Da fonti dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) si apprende che in Libia sono ancora intrappolati quasi 50.000 migranti. Nell’80% dei casi si tratta di persone scappate dagli orrori delle guerre in Sudan, Siria ed Eritrea. Amnesty International riferisce di gravi violazioni dei diritti umani e abusi di ogni genere che non sono difficili da immaginare. Tutto questo ci è stato confermato dagli ospiti del centro di accoglienza dei Padri dehoniani di Via Marechiaro a Napoli, con racconti sconvolgenti che li hanno visti testimoni e vittime con ferite nel corpo e nell’anima; ma fortunatamente loro sono è (togliere) riusciti a superare quel grande cimitero che è divenuto il Mediterraneo.
A pensarci bene, la Libia potrebbe sembrarci lontana, oltre la nostra portata, oltre l’impegno di ciascuno per quei “fratelli più piccoli”. Sarebbe troppo semplicistico deresponsabilizzarci per questo. Quei fratelli più piccoli sono anche tra noi, nelle nostre città, nei nostri quartieri, lungo il cammino della nostra esistenza. Possiamo distogliere lo sguardo, o fingere di non sapere, o giustificare il nostro disinteresse a causa dei nostri problemi, ma loro sono anche tra noi.
Gruppo Laici Terzo Mondo
Da anni l’Associazione Gruppo Laici Terzo è impegnata per l’integrazione dei migranti in Campania. Nelle scuole di Napoli aiuta i bambini con percorsi di supporto didattico, soprattutto per superare le difficoltà linguistiche a causa delle quali rischiano l’insuccesso scolastico.
Di solito i bambini, anche i nuovi arrivati, fanno presto a imparare la lingua socializzando con i loro coetanei, ma in quest’ultimo anno è stato tutto più difficile. I loro pari, nella migliore delle condizioni, li hanno incontrati solo attraverso la didattica a distanza: uno schermo che accorcia solo parzialmente la distanza sociale.
La pandemia ha negato tutte le opportunità per costruire amicizie e spazi di gioco nel gruppo degli amici. Molti bambini, soprattutto tra gli immigrati, si sono ritrovati isolati e quindi esclusi dalla possibilità di partecipare alle attività scolastiche per la mancanza di dispositivi elettronici. Anche questa, ormai, è povertà che provoca disuguaglianze ed esclusioni. L’Associazione, quindi, si è mobilitata per fornire di tablet i bambini più bisognosi, quelli che erano spariti dalla scuola perché non potevano connettersi durante la pandemia. Anche loro sono i fratelli più piccoli.
Presenza Cristiana è una rivista di informazione e cultura religiosa. Si rivolge all’intelligenza e al cuore, senza distinzione. Si caratterizza per il rispetto profondo per ciascuno, rispendendo alle loro esigenze e sollecitando la curiosità. Essa appartiene alla Provincia Italiana Meridionale