Il 7 maggio, nella Cattedrale di Bafoussam, in Camerun, ha avuto luogo l’ordinazione di 7 sacerdoti e 6 diaconi. Tra questi, 4 dehoniani. Sulla base del loro motto di ordinazione, hanno condiviso con noi la loro visione del sacerdozio.
Un sacerdozio vissuto nella gioia
Padre Michel Colince F. Kamdem, sul suo motto di ordinazione: “Siate sempre nella gioia” 1Ts 5,16
Il sacerdozio ministeriale a cui il Signore mi invita è fonte di gioia. È questa gioia che vorrei condividere con i miei fratelli e sorelle a cui il Signore mi manderà. L’esortazione di San Paolo ai cristiani di Tessalonica sul modo più appropriato di vivere la fede in Gesù Cristo è uno degli esempi più convincenti. La vita di fede nella gioia. La gioia del sacerdote condiziona certamente la gioia di coloro che gli sono affidati e molto di più. Allo stesso modo, un sacerdote che non irradia gioia, che è triste e sempre abbattuto, può solo portare tristezza, perché “un albero buono non può dare frutti cattivi, né un albero cattivo può dare frutti buoni” (Mt 7,18). Che la gioia del Vangelo, a cui San Paolo invita i Tessalonicesi, riempia il cuore di ciascuno di voi e vi permetta di irradiarla sempre e ovunque. Non invitate mai la tristezza a casa vostra.
Un sacerdozio che si nutre della forza di Dio
Padre Maurice Joël Mboukeu, sul suo motto di ordinazione: “Ciò che è debole nel mondo è ciò che Dio sceglie per confondere i forti”: 1 Cor 1, 27b.
Questo motto è stato scelto fin dai primi anni della mia formazione. Si ispira alla fragilità dell’uomo che sono e soprattutto dal desiderio di essere uno strumento di pace, amore e riconciliazione nelle mani di Dio e per gli uomini di questo mondo. È anche il risultato delle difficoltà incontrate nella scelta di questa degna vocazione. Infatti, Dio non ha nulla a che fare con i superbi; tutta la nostra vita è pura grazia. La vocazione di San Paolo la dice lunga sulla comprensione che possiamo dare a questo motto. L’Apostolo sottolinea più avanti: “Quando sono debole, allora sono forte” (2Cor 12,10). Infatti, fidandoci di Dio, non vediamo più la nostra debolezza come debolezza, ma come consapevolezza che Dio aspetta questa tappa per prendere il sopravvento e intervenire a nostro favore. La debolezza diventa così un segno di forza.
Un sacerdozio vissuto nell’amore
Padre Boris Igor Signe, sul suo motto di ordinazione: “Amiamoci gli uni gli altri” (1Gv 4,7).
La mia parola preferita è AMORE. L’amore non è solo una parola, è un intero programma di vita, un modo di essere. La scelta di questo invito: “amiamoci gli uni gli altri” come motto della mia ordinazione, significa anzitutto per me dire a Dio la mia gratitudine per il suo amore messo nel mio cuore; un ringraziamento per l’esperienza di essere amato da Dio (theophilos) in modo speciale. Questo motto mi dà anche la possibilità di impegnarmi. Sarò un apostolo dell’amore, di quell’amore vero e puro che ci viene da Dio. Così, agli uomini e alle donne a cui sarò inviato, mi impegnerò a predicare l’amore, il vero amore che ci viene da Dio, lui che è amore. Così facendo, alimenterò instancabilmente il sogno che questa chiamata ad “amarsi gli uni gli altri” diventi un giorno una realtà in un mondo in cui l’ipocrisia, la divisione e l’odio sono diventati i migliori amici degli uomini e delle donne del nostro tempo. Amare, ispirati dall’amore di Dio per noi, e invitare i miei fratelli e sorelle a entrare in questa comunione d’amore, è il programma del mio sacerdozio. La grazia del Signore, che mi investe in questa missione, sia sempre il mio rifugio, al di là delle imperfezioni che sperimenterò in questo cammino d’amore!
Un sacerdozio vissuto nel servizio
Padre Paulin Kuissi Tagne, sul suo motto di ordinazione: “Ciascuno secondo la grazia ricevuta, mettetevi al servizio gli uni degli altri come buoni amministratori di una multiforme grazia di Dio”. 1 Pt 4, 10.
Ho meditato a lungo sulla mia vita alla luce delle Sacre Scritture. Per molto tempo ho chiesto al Signore di dirmi sempre come rispondere alla sua chiamata alla santità e di indicarmi la sua parola su cui vorrebbe che costruissi il mio ministero, meglio ancora e semplicemente la mia vita di cristiano alla sua sequela, secondo le caratteristiche della mia personalità (punti di forza e limiti) e le tante grazie, doni e talenti che mi ha dato per la mia felicità e quella dell’umanità. Una mattina, durante la mia meditazione, questo versetto che avevo sfogliato più volte senza comprenderne il significato e la profondità mi ha colpito il cuore e vi si è posato. A mio parere, questo versetto riassume un intero programma di vita che non è necessario essere un sacerdote, un cristiano o un credente per seguire, perché anche i non credenti lo applicano naturalmente nella loro vita quotidiana seguendo la chiamata e il cammino della loro coscienza. Anche se si rinuncia allo stato clericale o alla propria fede cristiana, la profondità di questa raccomandazione dell’apostolo Pietro rimarrà. Avendo preso coscienza che le mie capacità nei servizi che sono chiamato a rendere sono doni della grazia di Dio, che la mia esistenza all’interno della comunità umana e cristiana fa parte del disegno divino, mi sembra chiaro che rendere a Dio ciò che gli appartiene attraverso la qualità della cura e dello zelo che presterò nel compimento dei miei servizi a favore del Suo popolo e del mio prossimo, contribuirà alla felicità dell’umanità, della Chiesa, nonché alla Salvezza delle anime per sola Grazia di Dio.