09 novembre 2022
09 nov 2022

Sono tornato!

Monsignor Murilo Krieger, è stato vescovo nell'arcidiocesi di San Salvador (Brasile) ed è ora vescovo emerito. Da anni vive di nuovo in una comunità dehoniana. Riportiamo di seguito la sua testimonianza.

di  Murilo Sebastião Ramos Krieger, scj

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All’avvicinarsi del 19 settembre 2018, data in cui avrei compiuto 75 anni e avrei dovuto presentare al Papa la mia rinuncia all’ufficio di vescovo diocesano (cfr. CCC, canone 401), ho cominciato a sentire la domanda: Lasciando la direzione dell’arcidiocesi di Salvador, dove vivrai? Cercai di essere discreto in quello che dicevo, anche se sapevo già cosa rispondere, perché una questione di tale importanza non poteva essere decisa all’ultimo minuto.

Per me, la decisione è stata presa quando ho risposto positivamente alla nomina episcopale, all’inizio di febbraio 1985: poiché stavo per lasciare la vita comunitaria nella Congregazione deehoniana, in vista di un ministero che la Chiesa mi chiedeva, una volta compiuta questa missione, sarei tornato nella famiglia S.C.J. Questo sarebbe accaduto 35 lunghi anni dopo! Ho lavorato in quattro diocesi, che si trovano in tre Stati: Florianopolis – SC, dal 1985 al 1991, come Vescovo ausiliare; Ponta Grossa – PR, dal 1991 al 1997, come Vescovo diocesano; Maringá – PR, come Arcivescovo, dal 1997 al 2002; Florianopolis – SC, come Arcivescovo, dal 2002 al 2011; e Salvador – BA, come Arcivescovo primate, dal 2011 al 2020. Solo nell’arcidiocesi di Florianopolis esistevano comunità dehoniane.

Poco prima della celebrazione del mio 75° compleanno, Papa Francesco ha consegnato ai vescovi una lettera: “Imparare a dire addio” (12.02.2018). Non solo per me, ma anche per me ha scritto: “La conclusione di un ufficio ecclesiale deve essere considerata parte integrante del proprio servizio, mentre richiede una nuova forma di disponibilità. Chi si dimette è chiamato a elaborare un nuovo progetto di vita e a rendersi disponibile per altri servizi pastorali, altrettanto necessari nella Chiesa. Ho sentito dire da alcuni vescovi emeriti che ora lavorano quasi come prima, ma senza le pesanti responsabilità che avevano quando erano a capo di una diocesi. In pratica, oggi sono guidati dall’osservazione dell’apostolo Paolo: “Siamo infatti opera sua, creati in Cristo Gesù per le opere buone, che Dio ha preparato perché in esse camminassimo” (Ef 2,10). L’importante, quindi, è scoprire quali sono queste opere buone che dobbiamo praticare.

All’età di 75 anni si ripresentò la domanda: dove andrai a vivere? In parole povere, ha detto: “Non ho intenzione di vivere da solo, perché mi è sempre piaciuto vivere in comunità”. Non ho intenzione di rimanere dove ho già lavorato, perché potrei disturbare il mio successore con la mia presenza. Non andrò a vivere con i parenti, perché loro hanno già la loro vita organizzata. Infine, tornerò alla Provincia del Brasile meridionale, e ho già ricevuto l’approvazione dei Superiori. Ho scelto il seminario di Corupá e la mia scelta è stata accettata. Ho vissuto qui per sette anni, dal 1956 al 1962, e ho dei bellissimi ricordi di quel periodo. Così, nel giugno 2020, dieci giorni dopo l’insediamento del mio successore a Salvador, sono arrivato a Corupá.

E ora? Ne è valsa la pena? Ho vissuto un’esperienza molto interessante: vivere in una comunità con religiosi che non conoscevo. Alcuni non erano nemmeno nati quando sono diventato vescovo! Tuttavia, mi sento a casa. Ho ritrovato, e non solo nell’atmosfera di Corupá, ma in tutte le case della Provincia, lo stesso spirito di gioia e relax dei miei vecchi tempi.

Da Corupá esco per aiutare chi me lo chiede, e se ciò che mi viene chiesto rientra nelle mie possibilità. Il mio compito principale è stato quello di predicare ritiri per i sacerdoti, compresi i religiosi. Perché questa “opzione preferenziale per i sacerdoti? Una volta, quando ero vescovo di Ponta Grossa, dovevo cercare un predicatore per il ritiro che si sarebbe tenuto di lì a qualche mese. Ho contattato diciassette vescovi, ma nessuno di loro ha potuto accettare il mio invito, a causa di altri impegni. Da allora, ho iniziato a dedicare due o tre date all’anno ai ritiri, sempre e solo per i sacerdoti.

Ho visto che il nostro carisma è veramente ecclesiale: senza cercare di “pubblicizzare” la nostra Congregazione, introduco nelle mie prediche la necessità della riparazione, dell’immolazione e dell’unione con il Cuore di Gesù nella sua offerta al Padre. Inoltre, prima del pranzo, trenta o quaranta minuti sono dedicati all’adorazione eucaristica silenziosa. È interessante notare come questa proposta sia sempre stata ben accolta!

So che i limiti dell’età sono inesorabili. Anche nel campo delle attività pastorali, un giorno dovremo “imparare a dire addio”. Ecco l’esempio del Papa emerito Benedetto XVI, particolarmente dedito alla preghiera. Quale ricchezza devono essere le sue preghiere per la Chiesa! Ricordo anche la gioia che Dom José Antônio do Couto, dehoniano e vescovo di Taubaté, mostrò quando mi raccontò del suo incontro con Papa Giovanni Paolo II ad Aparecida (04.07.1980). Pochi mesi prima (28.12.1979) era stato colpito da un ictus che gli aveva immobilizzato parte del corpo. Poteva muoversi solo su una sedia a rotelle, ma voleva comunque incontrare il Papa. Vedendolo e salutandolo, l’ormai “santo” Giovanni Paolo II gli disse: “Tu, su questa sedia a rotelle, potresti fare di più per la Chiesa di noi, che viviamo correndo per il mondo!

È cresciuta in me la convinzione che tutto è grazia! Quanto è misericordioso Dio! È misericordioso perché è amore. “Dio è amore” (1 Gv 4,16) è stato il motto che ho scelto quando ho preso servizio episcopale. Una delle manifestazioni più forti di questo amore sono state le persone che ha messo e mette tuttora sul mio cammino; persone che mi servono e mi aiutano; amici che non potrei comprare con nessun oro del mondo; pecorelle fedeli, cioè amate, che mi fanno capire perché Gesù le ama tanto.

Aveva ragione Dehon quando diceva di averci lasciato “il più meraviglioso dei tesori: il Cuore di Gesù!

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