150 anni dalla fondazione del Patronato Saint-Joseph a Saint-Quentin
Relazione storica sul patronato di san Giuseppe
Relazione storica sul patronato di san Giuseppe, tenuta da p. Stefan Tertünte, Provinciale di Germania e già Direttore del Centro Studi Dehon di Roma, durante la giornata di studio a Saint-Quentin, in occasione del 150° anniversario della fondazione del Patronato Saint-Joseph da parte di Padre Dehon (1872-2022).
Signore e signori, cari colleghi,
è con una certa emozione che mi trovo qui, in questo luogo che è stato ed è così significativo e importante per la vita di Leone Dehon, per la storia della nostra Congregazione e per generazioni di giovani. La nostra storiografia ha spesso sottolineato che la Congregazione dei sacerdoti del Sacro Cuore, in primo luogo gli Oblati del Cuore di Gesù, è nata, per così dire, sotto il tetto della scuola San Giovanni. Una scuola in cui padre Dehon ha messo molta passione, molta energia, molto denaro – che aveva ricevuto dalla sua ricca famiglia – e a cui è rimasto legato, anche quando la direzione gli è stata tolta e la scuola è diventata un’istituzione diocesana. Decenni dopo, dopo le distruzioni della Prima Guerra Mondiale, ha continuato a prendersi cura della scuola San Giovanni. Soprattutto, il suo rapporto con la scuola è rimasto vivo anche dopo la sua partenza, in occasione delle riunioni annuali degli ex alunni della scuola San Giovanni, dove si è sempre sentito a casa tra i suoi ex studenti e dove si sentiva ispirato a tenere discorsi sempre molto impegnati.
Ma non è la storia della scuola San Giovanni a riunirci oggi, bensì una storia più antica, quella del Patronato e poi dell’Opera San Giuseppe, fondata 150 anni fa e prima forte espressione dell’impegno di padre Dehon a favore di bambini, adolescenti e giovani adulti svantaggiati. Questo è stato il primo terreno in cui ha realizzato la sua pas- sione educativa e in cui ha potuto sviluppare e mettere in pratica molti dei suoi talenti.
Mi piace molto parlare dell’Opera San Giuseppe perché mi è sempre dispiaciuto che quest’opera sia rimasta, almeno nello spirito della Congregazione, un po’ all’ombra della scuola San Giovanni. Dico questo non solo perché l’Opera San Giuseppe era decisamente rivolta ai bambini e ai giovani delle classi popolari, ma anche perché aveva assunto proporzioni e importanza che superavano di gran lunga quelle della scuola San Giovanni. All’epoca, l’Opera San Giuseppe era senza dubbio la più grande istituzione del suo genere nella diocesi.
Tutto ha inizio quando, nel novembre del 1871, un giovane sacerdote di buona famiglia, con quattro dottorati, viene inviato dal suo vescovo, un po’ con sorpresa di tutti, come settimo curato nella cittadina operaia di San- Quintino. Alcuni, anzi molti, si aspettavano cose più impegnative per un uomo di straordinaria qualità intellettuale come Leone Dehon. E lui stesso è inizialmente sorpreso e perplesso. Nelle sue memorie – scritte molti anni dopo scrive: «È il 3 novembre che fui mandato a San Quintino per sola volontà di Dio… Era assolutamente l’opposto di ciò che avevo desiderato per anni, una vita di raccoglimento e di studio. Fiat!» (NHV IX 71).
Yves Ledure, uno dei migliori conoscitori di Dehon, recentemente scomparso, era stupito della rapidità e della radicalità con cui il giovane sacerdote Dehon, intellettuale e benestante, si era adattato al suo nuovo ambiente sociale e al suo lavoro, così diverso: «La cosa più sorprendente è che il giovane curato che arriva da Roma con il bagaglio intellettuale che conosciamo, adotti immediatamente questa città da cui tutto lo separa. Se non un incontro insolito, almeno eccezionale, tanto che Leone Dehon era destinato per nascita, cultura, gusti, a un altro uni- verso». Non dimentichiamo che in quegli anni San Quintino ha una popolazione operaia in costante crescita, che lascia le campagne per la città, vivendo spesso sradicata e soggetta ai meccanismi di un capitalismo ancora mal regolamentato. Ogni giorno, Dehon si confronta con la miseria di questa popolazione operaia in continua crescita, ma anche con l’incapacità della Chiesa di stabilire un legame reale con questo nuovo gruppo di popolazione. Quasi cinicamente, Dehon sottolinea che questo non è sorprendente: come aspettarsi che la classe operaia venga in chiesa, quando era ancora di moda pagare per un posto in chiesa? Dehon è stato ben presto disilluso e un po’ frustrato dalle lezioni di catechismo nelle scuole pubbliche, che era tenuto a frequentare in quanto cappellano più giovane: erano troppo poche e non abbastanza approfondite. Sostenitore di una riforma del catechismo in stile Dupanloup, che si allontanava dalla semplice trasmissione di conoscenze per passare alla trasmissione di espe- rienze attraverso la testimonianza, per lui l’insegnamento religioso nelle scuole pubbliche era troppo poco. Inoltre vi trovava per lo più i figli delle famiglie borghesi.
Tipico di Dehon: non si butta ciecamente nelle attività. Pochi giorni dopo il suo arrivo a San Quintino, domanda a un amico una bibliografia sui patronati. Si abbona alla Revue des Associations Catholiques Ouvrières e chiede consiglio agli amici. L’orientamento del suo futuro impegno si precisa con sorprendente rapidità, ma lui vuole essere preparato, informato, aggiornato.
Un rapido sviluppo
Gli inizi appaiono molto modesti. Tre mesi dopo il suo arrivo, Dehon inizia a riunire, la domenica, nel suo appartamento, circa sei bambini. Leggono libri illustrati e giocano insieme. Tutto qui, ma la situazione cambierà molto rapidamente.
Prima di parlare della struttura in crescita e delle sue caratteristiche, vale la pena ricordare alcuni dati che testimoniano il rapido sviluppo dell’Opera San Giuseppe e che danno un’idea sia della portata dell’impegno di molti uomini e donne sia del crescente successo di questa iniziativa.
Dehon inizia dunque tre mesi dopo il suo arrivo con sei bambini. Tre mesi dopo, nel giugno 1872, i bambini e gli adolescenti sono già più di 40 e nel settembre 1872 sono già 150. Nel gennaio 1873, fanno parte del patronato 200 bambini e 23 giovani lavoratori appartengono al Circolo operaio. Nel gennaio 1875, l’intera Opera San Giu- seppe conta quasi 450 membri, tra cui 301 bambini del Patronato e 139 giovani lavoratori del Circolo operaio. In media, più di 200 bambini, adolescenti e giovani adulti, la maggior parte dei quali provenienti dalla classe operaia, si riuniscono ogni domenica nei locali di rue des Bouloirs. Nel 1880 si registra un leggero calo dei soci, con 250 membri del patronato e 60 candidati, 80 membri del circolo operaio e 90 candidati; nel frattempo sono ammessi anche giovani lavoratori sposati.
Ma vediamo ora la struttura e le attività del Patronato e dell’Opera San Giuseppe, che si sviluppano in modo impressionante e complesso. Dehon possiede una serie di qualità: un grande pragmatismo imprenditoriale, un talento nel lavorare con i laici fin dall’inizio, una grande capacità di mettere in rete diverse iniziative sotto l’unico tetto dell’Opera San Giuseppe per i giovani, il tutto integrato in una visione di rinnovamento della società e della Chiesa.
Le attività
Per comprendere i diversi settori dell’Opera di San Giuseppe, è utile ricordare la struttura degli edifici, come ci permettono di fare le fonti storiche.
L’appartamento di Dehon diviene presto troppo piccolo per ospitare il numero crescente di bambini e adolescenti. Anche il cortile messo a disposizione dal signor Julien, il direttore di un pensionato studentesco, si rivela presto troppo piccolo per ospitare le attività in continua crescita. Dehon acquista un terreno in rue des Bouloirs con le proprie risorse, donativi della città e il sostegno dell’arciprete di San Quintino. Sarà il centro dell’Opera Opera San Giuseppe.
Chiunque entri nel vestibolo dell’Opera Opera San Giuseppe attraverso il grande arco della porta d’ingresso deve presentare la propria tessera associativa e può immediatamente depositare denaro sul proprio conto presso la cassa di risparmio dell’associazione. Si tratta di piccole somme, ma è un primo passo per abituare i bambini e i giovani a gestire il denaro, il che in futuro dovrebbe renderli meno dipendenti dai capricci del mercato e dei loro datori di lavoro. Chi poi entra nel cortile, soprattutto la domenica pomeriggio, trova una moltitudine di possibilità di svago: giochi come il biliardo fiammingo, un’area sportiva con trapezi, sbarre fisse, anelli – del tutto nello spirito dell’emergente movimento sportivo organizzato. Dall’altra parte del cortile, ex soldati conducono esercizi para- militari come esercitazioni, tiro con l’arco, ecc. Il piano terra dell’edificio è riservato principalmente ai figli dei lavoratori, con la possibilità di divertirsi con giochi di società attorno a un tavolo o sfogliare letteratura illustrata. Ma anche la grande sala al piano terra è una stanza multifunzionale. Dietro una parete mobile si trovano l’altare e il tabernacolo. La domenica i bambini e i ragazzi si alternano tutto il giorno per l’adorazione; al mattino e alla sera, la parete mobile viene spostata e la stanza diventa una cappella, utilizzata per la messa al mattino e per la preghiera alla sera, quando le attività dei bambini sono terminate. Il primo piano è riservato ai membri più anziani dell’Opera San Giuseppe, giovani lavoratori o apprendisti. Qui l’atmosfera è più tranquilla: una sala di conversazione offre tutti i quotidiani e le riviste ecclesiastiche per la lettura e la discussione; c’è una vera e propria biblio- teca e diverse sale per i giochi da tavolo. La biblioteca è autogestita e ogni utente deve pagare 50 centesimi al mese. Il principio è quello di promuovere una gestione responsabile e lungimirante del denaro. Mentre Dehon, ogni domenica mattina, racconta ai bambini del piano terra una storia edificante, ispirata ai suoi viaggi, sui santi o sulla città eterna di Roma, al primo piano ogni domenica sera tiene una vera e propria lezione sulla dottrina economica cristiana – e questo molto prima della Rerum Novarum! Al secondo piano, c’è una piccola biblioteca per i bambini e soprattutto una sorta di aula in cui una ventina di bambini ricevono un’istruzione scolastica. Questo può avvenire in aggiunta all’istruzione regolare o perché i bambini per vari motivi non hanno potuto partecipare alla normale vita scolastica della città. Nel corso del tempo, questo secondo piano ospiterà anche piccole stanze per una ventina di giovani lavoratori (adolescenti per gli standard odierni), che sono orfani o che provengono da famiglie che non si sono trasferite in città, e che quindi sono totalmente abbandonati a se stessi, con tutte le difficoltà e le ansie che questo comporta. Dehon è consapevole che si tratta di una goccia nell’oceano, ma pur sempre una goccia. Da qui il progetto di creare una società di costruzione di alloggi popolari, che però, a causa della mancanza di fondi e delle condizioni sempre più difficili per i progetti ecclesiastici dopo le elezioni del 1878-1879, non si realizza. Si potrebbero elencare tutta una serie di altre attività, su alcune delle quali torneremo in seguito, ma si può già immaginare quanto fosse vivace l’Opera San Giuseppe quando la domenica talora 300 bambini e giovani riempivano il cortile e l’edificio di rumore, movimento e vita. A parte la domenica, l’Opera San Giuseppe era aperta ogni sera per diverse ore, non per i bambini, ma per i giovani e gli adolescenti lavoratori.
Collaborazione con i laici
Fin dall’inizio, Dehon ha collaborato nell’Opera Opera San Giuseppe con i laici, il cui numero è andato crescendo, e poi con i suoi confratelli e alcune suore. Innanzitutto le figure fondatrici, come il già citato signor Julien, direttore di un pensionato, di cui Dehon dice: «Era della razza dei primi conferenzieri di San Vincenzo de’ Paoli e fu per tutta la vita un ardente servitore dei poveri» (NHV 9/82). Inoltre, c’era il signor Guillaume, che era conservatore dei registri immobiliari, ma anche imprenditori come il signor Black, allora produttore di cemento, che non solo sosteneva l’Opera San Giuseppe, ma dalla cui famiglia sono nate diverse vocazioni di sacerdoti o suore. Ma anche il signor Arrachart, che per tutta la vita diede un grande sostegno finanziario ed era sempre alla ricerca di bene- fattori per l’Opera Opera San Giuseppe.
Ma c’erano anche pilastri dei progetti dell’Opera San Giuseppe che non provenivano da ambienti così agiati. In primo luogo va ricordato l’onnipresente droghiere Alfred Santerre: «I milioni di passi che ha fatto per i piccoli e i poveri sono scritti in cielo» (NHV 9/84). Non per niente p. Rasset gli ha dedicato in seguito una biografia dal titolo Un juste Saint-Quintinois: Alfred Santerre.
Politica, la scuola San Giovanni, le conseguenze
Ma al di là di questa cerchia di laici socialmente impegnati, spesso di orientamento conservatore e monarchico, c’era tutta una serie di laici e persino di ecclesiastici che venivano coinvolti per le loro particolari capacità: don Geispitz, legato come Dehon alla basilica come curato e dotato di grandi doti musicali, collaborava con padre Dehon anche tenendo corsi di musica vocale e dirigendo la banda dell’Opera San Giuseppe, che raggiunse molto presto i 50 membri. O l’insegnante del liceo comunale, il signor Pluzanski, così come altri insegnanti che hanno contribuito alle iniziative scolastiche ed educative dell’Opera San Giuseppe. Nei primi anni, dal 1872 al 1878, l’Opera San Giuseppe aveva per così dire il sostegno di tutta la città. Nelle solenni serate pubbliche in cui i membri dell’Opera San Giuseppe presentavano le loro abilità al pubblico, erano ben rappresentati gli esponenti della prefettura, i sindaci, gli imprenditori, il clero, ecc. I primi anni di dell’Opera San Giuseppe, non va dimenticato, furono quelli del governo di “ordine morale” con Thiers e MacMahon, i quali diedero pieno appoggio ai progetti ecclesiastici volti a risolvere la questione operaia. Con il passaggio a un governo schiettamente repubblicano, sempre più ostile alla Chiesa e alle Congregazioni, questo sostegno scomparve dalla società civile. Inoltre, con la fondazione di una scuola cattolica privata, la San Giovanni, nel 1877, Dehon è entrato in competizione con il settore dell’istruzione pubblica, con conseguenze anche per l’Opera San Giuseppe: «Anche la mia situazione in città stava cambiando. Fino ad allora ero stato l’uomo di tutti. Avevo molti amici. Ora tutti i miei amici del liceo si stavano allontanando da me. All’improvviso perdevo le simpatie di mezza città» (NHV 12/64). La perdita del professor Pluzinski è particolarmente dolorosa: «I funzionari cominciavano a prendere le distanze da noi. Il go- verno si stava rapidamente spostando a sinistra. Le opere cattoliche stavano diventando sospette, perché i cattolici non avevano saputo adeguarsi al governo scelto dall’Assemblea Costituente. Il signor Pluzanski, insegnante del liceo, ha smesso di venire ad aiutarci in ottobre. Non era più libero» (NHV 12/23).
Nonostante queste difficoltà, Dehon e i suoi successori riuscirono a convincere i laici a sostenere le numerose attività dell’Opera San Giuseppe. Non dimentichiamo nemmeno le Suore Ancelle del Sacro Cuore che partecipa- rono all’Opera San Giuseppe in parte finanziariamente, ma poi anche concretamente attraverso alcune suore, prendendosi cura dei giovani quasi-orfani della classe operaia ospitati all’Opera San Giuseppe, dando loro da mangiare, ecc.
Questo progetto non sarebbe stato possibile senza la capacità di Dehon di suscitare l’entusiasmo di un gran numero di laici per questo progetto sociale e di indurli a utilizzare le loro competenze, senza l’impegno volontario di questi stessi laici a contribuire con le loro capacità al bene dei bambini e dei giovani lavoratori.
Una decisione dolorosa
Con la fondazione della scuola San Giovanni e della Congregazione degli Oblati del Cuore di Gesù, Dehon, che era ancora vicario della Basilica di San Quintino, si ritirò sempre più dall’Opera San Giuseppe. Il suo primo successore fino al 1885 fu padre Alphonse Rasset, che aveva esattamente la stessa sensibilità sociale di Dehon. In seguito, altri Sacerdoti del Sacro Cuore ne assunsero la direzione. Poi, nel 1896, c’è una svolta sorprendente e deludente per Dehon: «Il vescovo prende una decisione per me dolorosa. Ha affidato il Patronato San Giuseppe al signor Mercier. Ho fondato quest’opera 25 anni fa. Ci avevo investito somme importanti. Mi ci ero dedicato con tutto l’ardore del mio ancor giovane sacerdozio. Mi è sembrato che questo lavoro dovesse rimanere sempre nelle mani della nostra Congregazione. L’autorità diocesana ha deciso diversamente» (NQT 11/101). La toccante reazione dei membri del Circolo Operaio San Giuseppe a questa decisione la dice lunga sullo spirito paternalistico dei primi decenni dell’Opera San Giuseppe, ma soprattutto la lettera riflette il legame nato da una lunga conoscenza e da molte esperienze, quando essi scrivono: «Signor e Venerato Fondatore, Membri del Circolo San Giuseppe fondato quasi venticinque anni fa dall’amore ardente che Lei ha dedicato agli operai, Consiglieri di questo Circolo che abbiamo amato per tanti anni, è con profondo dolore che abbiamo appreso che l’opera viene separata dal suo fondatore togliendo la direzione ai Padri del Sacro Cuore. Senza pregiudicare la nostra futura decisione in merito a questo provvedimento amministrativo, siamo onorati di venire qui oggi per renderle il tributo del nostro incrollabile affetto e della profonda gratitudine che le abbiamo giurato. Lei ha fatto ogni sacrificio perché l’opera uscita dal suo cuore diventasse forte e fiorente; si è impegnato anima e corpo per molti anni; ha voluto che uno dei suoi figli spirituali, un altro se stesso, rimanesse per continuare l’opera iniziata; è rimasto la nostra guida e il nostro sostegno nei momenti di prova. Ha seminato tutti i benefici morali e materiali sui lavoratori della nostra cara Città. Questa dedizione di un quarto di secolo è oggi misconosciuta» (lettera del 19 agosto 1896 a Dehon, AD inv. 36509).
Il patronato San Giuseppe ha continuato ad esistere per molti decenni sotto la responsabilità della diocesi. Alla fine degli anni Venti, furono addirittura costruiti nuovi edifici per l’Opera San Giuseppe in rue Émile Zola, con tra l’altro all’interno un cinema. Almeno questo è quanto risulta dall’inventario degli edifici realizzato da un architetto nel 1939. Dopo la guerra ho saputo che i vecchi edifici di rue des Bouloirs sono stati distrutti e sostituiti da un parcheggio. L’arco del portone che vediamo ancora oggi e che esiste ancora con l’iscrizione “Salle Saint Joseph” non risale al primo periodo dell’Opera San Giuseppe, ma alla seconda grande fase di costruzione alla fine degli anni Venti, situata in rue Émile Zola. Vale la pena ricordare, tra l’altro, che l’architetto ha notato uffici per diversi sacerdoti. Una fonte internet riporta che il patronato è esistito fino al 1977. Forse i presenti qui ne sanno di più. Per tutto il tempo trascorso sotto la responsabilità della diocesi, sarebbe necessaria una ricerca sul posto. Abbiamo già sentito parlare della passione e della determinazione di padre Dehon in questo multiforme progetto di sostegno ai bambini e ai giovani lavoratori. Abbiamo sentito che questo progetto è stato possibile solo perché la collaborazione e il reclutamento di molti laici ha funzionato e ha dato frutto, anche al di là di difficili conflitti politici. Uno sguardo allo schema dell’Opera San Giuseppe ci mostra anche come Padre Dehon sia stato fin dall’inizio un uomo capace di relazioni, una persona che ha sostenuto diverse iniziative al servizio dei bambini e dei giovani lavoratori. Diamo una rapida occhiata a questa rete di relazioni, di cui conosciamo già molti elementi. In effetti, tutto deve essere visto in relazione all’Opera San Giuseppe. I due pilastri erano il patronato per i bambini della classe operaia e il circolo operaio per i giovani lavoratori, creato poco più di un anno dopo. I due gruppi condividevano locali e attività comuni: oltre a quelli già citati, c’era anche un gruppo teatrale, varie associazioni come la congregazione di Maria, l’apostolato della preghiera, la lega del Sacro Cuore. Tuttavia, come abbiamo già accennato, entrambi i gruppi avevano a disposizione locali e attività adatte alla loro età: ogni gruppo aveva un proprio spazio, un proprio piano nell’edificio dell’Opera. Molti membri del circolo operaio erano coinvolti nella Conferenza di San Vincenzo, cioè raccoglievano denaro per coloro che erano ancora più poveri di loro e visitavano queste famiglie povere, il cosiddetto «apostolato del simile per il simile». Inoltre, sono stati soprattutto gli adolescenti e i giovani adulti a preparare una mostra annuale dei loro lavori per mostrare al pubblico ciò che sapevano fare. Dehon molto presto ha messo questo gruppo in contatto con la sede dell’Opera dei Circoli cattolici operai a Parigi.
L’obiettivo era quello di ampliare l’orizzonte, far conoscere altre iniziative e consentire la partecipazione a eventi a livello nazionale. Nel terzo anno di vita dell’Opera San Giuseppe, Dehon istituì un “comitato di protezione”, in cui rappresentanti della vita pubblica e imprenditori dovevano sostenere l’Opera con le loro competenze e risorse economiche. Un’altra iniziativa è tipica di Dehon: nel 1875 fondò presso il ginnasio statale il “circolo Joseph de Maistre”, in cui i giovani delle classi medie di età superiore ai 16 anni dovevano essere guidati agli studi religiosi e sociali. L’obiettivo era quello di formare una nuova generazione di imprenditori, disposti e in grado di lasciare un segno nel mondo del lavoro in senso cristiano. Una delle loro iniziative è stata quella di inviare ogni settimana un membro al patronato per insegnare il catechismo e una volta al mese al circolo dei lavoratori per una conferenza. Abbiamo già menzionato la Casa della famiglia, la struttura per gli orfani dei lavoratori, e il progetto di una società di costruzione di case per i lavoratori. Per qualche tempo, Dehon ha riunito regolarmente gli imprenditori per spiegare o ricordare i loro doveri di datori di lavoro nei confronti dei lavoratori. Pensare globalmente, agire localmente
Come si può vedere, Dehon ha creato una notevole rete di attività e gruppi sotto il nome dell’Opera San Giuseppe, tutti finalizzati al benessere dei bambini e dei giovani lavoratori della classe operaia. Ma era questo l’unico obiet- tivo? No: anche per le iniziative più piccole, Dehon aveva grandi ambizioni: «pensare globalmente, agire local- mente» era il suo motto. Il 13 giugno 1875, davanti alle autorità cittadine, ecclesiastiche ed economiche, Dehon tiene un discorso in cui evoca anche l’obiettivo dell’Opera San Giuseppe: «Permettetemi innanzitutto di ricordarvi brevemente il nostro scopo. Troppe persone fraintendono questo punto e immaginano che non abbiamo altra ambizione che quella di far giocare onestamente qualche bambino la domenica. Abbiamo uno scopo più elevato. Il nostro obiettivo è la salvezza della società attraverso l’associazione cristiana» (NHV 11/97). Non si trattava solo di aiuti sociali una tantum, in tutto ciò che intraprendeva e avviava, per lui si trattava di rinnovare la società in senso cristiano. E la parola “associazione” aveva un significato fondamentale: Dehon aveva constatato di persona a San Quintino che il sistema capitalistico post-rivoluzionario del XIX secolo aveva atomizzato i vari membri della società e che molte possibilità di associazione erano state eliminate. Questo ha avuto conseguenze fatali, soprattutto per coloro che non avevano né l’istruzione né la ricchezza per farsi strada nella società. Nell’esperienza di Dehon, ciò accadeva soprattutto per i lavoratori. Questo spiega, fin dall’inizio del suo lavoro a San Quintino all’Opera San Giuseppe, lo sforzo di far comprendere il senso e rendere possibile l’esperienza di un’unione e di una coesione degli operai. In seguito, per lo stesso motivo, si sarebbe impegnato nella formazione dei sindacati. E scoprirà e propagherà, nella nascente dottrina sociale cattolica, tutte le possibilità di costruire una società in cui le persone, a tutti i livelli possibili, si riconoscano, si alleino e si rafforzino a vicenda come esseri sociali, invece di ricadere, come egoisti isolati o rappresentanti di interessi particolari, nel diritto anticristiano del più forte o del più ricco. In questo contesto, possiamo ovviamente pensare anche alle sfide del nostro tempo, che consistono nello scoprire e rafforzare le forze di coesione sociale invece di far trionfare interessi particolari polarizzanti.
L’ideale educativo
Ma l’Opera San Giuseppe è anche un esempio di approccio educativo che ci riporta alla scuola San Giovanni. Yves Poncelet, in qualità di storico, ha detto a proposito dell’Opera San Giuseppe: «Ciò che conferisce all’Associazione San Giuseppe la sua relativa originalità è che, pur considerandola un mezzo di conservazione, il suo fondatore intende fornire un’educazione completa e di qualità, col- locandola, volens nolens, nella grande corrente dell’educazione po- polare di quel periodo» (Rerum Novarum en France, a cura di Yves Ledure, Parigi 1991, p. 48). Anzi, dobbiamo fare un passo in più, perché l’obiettivo educativo di Dehon, sia all’Opera San Giuseppe che alla scuola San Giovanni, oggi lo definiremmo olistico, integrale. Lo dimostra in modo impressionante un testo di Dehon sui suoi ideali educativi, un testo che si cita ancora con piacere:
«L’ideale cristiano è l’unico che abbraccia contemporaneamente tutti gli elementi della perfezione umana. L’educazione cristiana non trascura ciò che è importante per lo sviluppo fisico. Si occupa di igiene e di esercizio fisico. Considera le lettere e le scienze come necessarie per sviluppare le facoltà più essenziali della mente.
Forma il giudizio con la filosofia e la storia, il gusto con la conoscenza dei modelli della letteratura e dell’arte, la volontà e il cuore con la religione, i costumi e il carattere con le delicate procedure utilizzate nella migliore società. Educare un cristiano non significa solo dargli nozioni di scienza umana che lo aiutino a crearsi una posizione nella vita. Non si tratta solo di educarlo a una delicata gentilezza, di dargli una conoscenza profonda e di farne un uomo che può e vuole partecipare a tutti i progressi del genio umano. È anche e soprattutto formare in lui un carattere nobile e grande, una condotta pura, delle virtù virili. È far crescere nella sua anima la fede che apre alla comprensione del mondo invisibile, la speranza che rafforza il cuore con la prospettiva di una felicità meritata, e l’amore che rende Dio sensibile nelle fredde ombre della vita. Crescere un cristiano significa comunque formare un uomo di cuore, un uomo di sacrificio e devozione, un uomo che si sia scrollato di dosso il giogo dell’egoismo. Qualunque sia la carriera che potrà un giorno intraprendere, sia essa di sacerdote, soldato, agricoltore, industriale o magistrato, il discepolo dell’educazione cristiana porterà con sé l’ardente e profonda convinzione di avere un’influenza rigeneratrice con la parola e l’esempio da esercitare» (DRD 4/25ss).
In un certo senso, l’Opera San Giuseppe, di cui qui commemoriamo la nascita 150 anni fa, con tutti gli elementi portati alla luce, è stata allo stesso tempo un laboratorio per una società migliore, per una Chiesa al servizio dei più svantaggiati, per un’educazione integrale, veramente accessibile a tutti.
In questo senso, non è solo un capitolo della storia di San Quintino e della Congregazione fondata da Dehon, ma anche un incoraggiamento a proseguire su strade che non hanno perso nulla della loro attualità per quanto concerne le loro preoccupazioni e intenzioni.