Solennità dell’Annunciazione
Noi sacerdoti del Sacro Cuore ci siamo molto abituati a queste parole del Direttorio Spirituale: “Nelle parole: “Ecce venio, Deus, ut faciam voluntatem tuam” [Eb 10,7], ed “Ecce ancilla Domini, fiat mihi secundum verbum tuum” [Lc 1,38], si trovano tutta la nostra vocazione, il nostro fine, il nostro compito, le nostre promesse.” Forse abbiamo dimenticato il titolo che riassume il contenuto del paragrafo “Il dono di se stessi”.
La festa che celebriamo oggi ha soprattutto a che fare con due parole: libertà e dono. P. Dehon legge la storia dell’Incarnazione, di fatto tutta la storia della salvezza, come una storia nella quale le relazioni tra Dio e gli esseri umani, e poi anche tra gli esseri umani, sono segnate dalle parole dono, abbandono – e queste possono essere offerte, accolte, vissute solo in libertà.
Dehon sottolinea spesso: Dio dà se stesso; Dio dà il suo Figlio etc… Un dare se stesso, un’offerta che avviene per libertà ed eccesso d’amore – e si rivolge all’uomo. Ma un dono non sarebbe un dono, per quanto amorevolmente si mostri, se forzasse la risposta. Solo nella libertà un dono può creare relazioni e dare forma alla vita. E Maria accetta il dono, non subito, non sopraffatta, ma in grande libertà. E in questa libertà lascia che la sua vita sia modellata dal dono che riceve “fiat mihi secundum verbum tuum”. È la peculiarità della rivelazione cristiana che il dono, la libertà, l’abbandono siano così strettamente intrecciati. Perché la vita che Dio vuole dare, la sua vita, è soprattutto una cosa: abbandono.
E la nostra risposta? Maria ci insegna: non troppo rapida, non frettolosamente. Ma in libertà, con convinzione e passione. Perché accettare il dono di Dio significa donarmi al mio Creatore amoroso e alle sue creature sofferenti – con libertà e passione.