Ex rifugiati torturati, stuprati, scomparsi dopo il ritorno a casa
Le forze di sicurezza siriane hanno sottoposto i siriani tornati in patria dopo aver cercato rifugio all'estero a detenzione, sparizione e tortura, compresa la violenza sessuale, ha dichiarato Amnesty International.
Torture, stupri, arresti arbitrari: decine di profughi siriani rientrati nel proprio Paese sono diventati immediatamente le vittime degli abusi peraltro perpetrati costantemente dai servizi di sicurezza del regime di Bashar al-Assad.
La denuncia viene da un nuovo rapporto di Amnesty International che invita i Paesi che ospitano i rifugiati siriani ad evitare loro il ritorno forzato in Siria. L’ONG nel rapporto precisamente tratta di “orribili violazioni” perpetrate contro 66 rifugiati – tra cui 13 bambini – rientrati nel loro Paese tra il 2017 e la primavera del 2021”. L’incipit dell’articolo dedicato al riguardo dall’agenzia ANSA non poteva essere più chiaro: “stai andando verso la tua morte”. Amnesty International ha documentato il destino – senza ombra di dubbio – di chi oggi rientra in Siria.
Ritorni forzati
Ai siriani questa non risulta – purtroppo – una novità. Quando per i numerosi profughi in Libano si è aperta la possibilità – pochi mesi fa – di votare per le presidenziali siriane presso l’ambasciata di Beirut, solo il 3,3% lo ha fatto. La ragione era già evidente.
La notizia ANSA prosegue: “I servizi di sicurezza hanno sottoposto donne, bambini e uomini (…) a detenzioni illegali e arbitrarie, torture e altri maltrattamenti, in particolare stupri e violenze sessuali, a volte contro i bambini.” Queste persone sono state accusate di “tradimento” o di “terrorismo” dai loro aguzzini, secondo la nota terminologia del regime che non distingue tra oppositori politici, ribelli armati e jihadisti.
Tra i casi documentati da Amnesty, alcuni riguardano rifugiati provenienti persino da Paesi europei come Francia, Germania, oltre che da Turchia, Giordania ed Emirati Arabi Uniti.
È esattamente quel che sta accadendo e accadrà agli abitanti di Daraa al-Balad, nel sud del Paese: 50mila persone che sono state sottoposte ad assedio totale negli ultimi settanta giorni dall’esercito siriano, spalleggiato dalle milizie iraniane. L’8 settembre i soldati dell’esercito siriano sono entrati nella città per effettuare rastrellamenti e quindi per catturare “i terroristi”.
Nessuno o quasi ne sta parlando in Italia. Mentre l’agenzia d’informazione russa Sputnik tiene a chiarire che nel suo lavoro l’esercito siriano viene coadiuvato dalla polizia militare russa: questa normalmente opera sotto il diretto controllo del ministero dell’Interno, ma nelle operazioni all’estero passa sotto il comando del ministero della Difesa. Per i 50mila di Daraa al-Balad una miglior sorte non risiederebbe ora nella fuga all’estero?
È assai significativo che Amnesty International debba invitare alcuni Paesi europei, quali la Danimarca, a non ridurre la protezione ai profughi siriani che, perdendo lo status di richiedenti asilo e rifugiati in Europa, rinviati in patria, andrebbero e – ora sappiamo – vanno, appunto, incontro alla morte. Questo deve essere chiaro in Europa. Ed è molto importante.
Sotto lo sguardo impotente degli osservatori dell’ONU il popolo siriano e la comunità internazionale più accorta hanno già assistito – in questi dieci e più anni di guerra – a lunghissimi e spietati assedi, che hanno portato la gente allo stremo, alla carenza di cibo, delle medicine e dei generi di prima necessità: tutti gli assedi hanno avuto esiti di morte e quindi di trasferimento di massa dei civili, all’estero o nei campi ai confini della Siria.
È davvero troppo pensare che le persone vengano volutamente rimandate nell’orrore da cui sono fuggite! Eppure, è quel che è accaduto e accade!
Destrutturazione religiosa
Faccio notare che, in occasione delle recenti elezioni presidenziali, ha votato un numero di siriani superiore a quello dei residenti in Siria. Come è possibile? Si può facilmente pensare ad una mossa propagandistica del regime, da sempre attento a gonfiare i numeri. Ma potrebbe non essere così.
Infatti, è probabile che Bashar al-Assad, con l’aiuto di Hezbollah, del regime iraniano e di altri pochi ma fedeli alleati, abbia fatto affluire un numero considerevole di poveri e disperati profughi dal Libano, dall’Iraq, dall’Iran e da altri Paesi caucasici e centro asiatici, per rimpiazzare la dimezzata ed esausta popolazione rimasta in Siria.
La vita oggi in Siria è difficilissima, ma per chi non ha più nulla da perdere, per chi si trova in una condizione permanente di fuga dal male maggiore, anche solo la prospettiva di ottenere una casa gratis – abbandonata da qualche famiglia siriana fuggita all’estero – costituisce un’àncora di salvezza.
Quando nel 2011 ebbe inizio la guerra, i siriani residenti in Siria si contavano in più di 20 milioni. Ne sono stati di fatto espulsi – rendendoli profughi all’estero – circa 6 milioni; almeno altri cinque milioni vivono in campi profughi allestiti ai lembi estremi della Siria quali sfollati interni. Si tratta di una popolazione di appartenenza confessionale islamico-sunnita quasi integralmente, ossia quella appartenenza che il regime ritiene particolarmente ostile e infedele.
È, dunque, in corso un’operazione di destrutturazione e di ricomposizione etnico-religiosa: quella che il regime ha peraltro avviato da un decennio! Lo si può legittimamente sostenere: l’intento di Bashar al-Assad è sostituire la maggioranza della popolazione siriana di osservanza sunnita con una nuova popolazione di origini e condizioni tali da garantire una maggiore fedeltà a sé stesso. Perciò si può parlare – a mio modo di vedere – del genocidio in corso in Siria.
Genocidio
Non si tratta solo di contare i tantissimi morti, di cui non abbiamo ancora, peraltro, un numero esatto. Secondo la definizione vigente si parla di genocidio quando ci si trova di fronte ad “atti commessi con l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso”: ecco! il regime ha sistematicamente colpito la popolazione sunnita, ad eccezione di quella parte costituita dai clan che hanno giurato fedeltà a Bashar al-Assad.
Dopo lo smantellamento – non totale – del suo arsenale chimico nel 2014, il regime ha fatto ricorso ad “economici” barili bomba – ossia a rudimentali barili riempiti di esplosivo e di detriti contundenti – lanciati indiscriminatamente contro la popolazione civile, facendo chiaramente intendere che la sola via percorribile agli indesiderati era la fuga con le proprie gambe.
Dopo aver “liberato”, in tal modo, il Paese dai soggetti non graditi, è chiaro che il regime non tollera il rientro di alcuno, ovvero chi rientra ha il destino segnato. Avviene che, in qualche caso, questo qualcuno sia stato persino invitato a rientrare. Il noto dissidente Mazen Hamada, rifugiato in Olanda, è stato convinto a rientrare dietro false promesse.
Mazen Hamada è stato lungamente torturato in Siria: fortunosamente era riuscito a fuggire. Ma la sua vita – fuori dal suo Paese – è divenuta un tormento. Sembra che il regime gli abbia offerto un ruolo importante per la riconciliazione nazionale. Mazen ci ha creduto!? Nessuno è in grado di dirlo. Certo è che, dal momento del suo rientro a Damasco, non si hanno più notizie di lui: è sparito!
Il regime siriano è talmente efferato e sfrontato che qualche storia personale è pubblicamente affiorata. Una serie televisiva realizzata e mandata in onda in Siria in occasione del Ramadan, nell’ora in cui le famiglie si riuniscono a casa davanti al televisore, ha presentato le avventure di un ispettore di polizia. Ebbene, sugli schermi è apparsa la foto reale di una ragazza torturata e uccisa qualche anno fa nelle carceri del regime.
È una foto ora abbastanza nota: compare tra quelle trafugate all’estero da un coraggioso siriano – nome in codice “Caesar” – fuggito con tutte le foto che era stato comandato a scattare ai morti nei campi di detenzione del regime, essendo questo il suo compito da impiegato militare. Quella ragazza, a suo tempo, è stata riconosciuta dai parenti nel catalogo di “Caesar”. Il regime tuttavia negò ogni responsabilità.
Ma, appunto, dopo qualche anno, la foto è riapparsa nella fiction promossa dallo stesso regime. La regia della trasmissione televisiva ha ripreso la foto a lungo e in primo piano. Il messaggio è risultato chiaro a tutti e a ciascuno: “se non stai attento, farai la stessa fine”.
Scomparsi
Chi torna in Siria deve fare, dunque, per il regime, la stessa fine di quella ragazza, come ora documentato con precisione da Amnesty International. La questione è evidentemente molto seria. Quale deve essere, dunque, la sorte di milioni di profughi siriani?
Dovranno “scomparire”, mentre la comunità internazionale sarà impegnata a coprire le prove del genocidio siriano, al fine di avviare al più presto la ricostruzione della Siria – almeno quella ancora governata dal regime di Bashar al-Assad – così che sulle fosse comuni sarà sparso il cemento della cancellazione della verità della storia?
Probabilmente con tale anelito di ricerca della verità – oltre che di timore della divisione del territorio e del popolo siriano – mille famiglie si sono rivolte con una petizione al governo degli Stati Uniti per chiedere conto di un numero enorme di sequestrati dall’Isis – tra le ottomila e le diecimila persone – delle quali non si sa ancora alcunché.
Nei territori che sono stati infatti devastati dagli uomini del famigerato Califfato, oggi il controllo sta nelle mani degli americani che sono coadiuvati dalle forze curde: ebbene, molti documenti rintracciati in questi anni – ormai classificati – rimangono secretati e nulla emerge circa il destino degli scomparsi.
Nulla è stato fatto né per accertare l’identità delle vittime rinvenute nelle fosse comuni prodotte dall’Isis, né per accertare chi sia ancora in vita o chi sia tuttora detenuto da qualche parte perché ritenuto – magari erroneamente e magari volutamente – un ex combattente dello Stato Islamico.
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