10 novembre 2016
10 nov 2016

Archivio: Filosofare e ragionare

di  Jozef Golonka, scj

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La filosofia è una scienza molto importante per lo sviluppo delle altre materie speculativo – teoriche. Aiuta a ragionare meglio in qualsiasi circostanza della vita dell’uomo. La filosofia è un campo di studi che si pone domande e riflette sul mondo e sull’uomo. La scienza che indaga sul senso dell’essere e dell’esistenza umana. Essa tenta di definire la natura e analizza le possibilità e i limiti della conoscenza.

Aristotele nel “Protreptico o Esortazione alla filosofia” scrisse: «Chi pensa sia necessario filosofare deve filosofare e chi pensa non si debba filosofare deve filosofare per dimostrare che non si deve filosofare; dunque si deve filosofare in ogni caso o andarsene di qui, dando l’addio alla vita, poiché tutte le altre cose sembrano essere solo chiacchiere e vaniloqui».

Ecco alcuni dei nostri confratelli della Congregazione del Sacro Cuore di Gesù (Dehoniani) che hanno scelto la filosofia come la scienza per portare avanti il mondo scientifico ed educativo. Non solo sono diventati professori della filosofia, ma applicano i suoi principi anche nel modo di pensare e per presentare i propri libri o articoli. Avendo ricevuto questo tesoro dal Signore non lo nascondono ma lo arricchiscono e lo moltiplicano attraverso la parola scritta.

Tra i vari filosofi della Congregazione, vorrei presentarvi due protagonisti specializzati in materia: p. Léopold Mfouakouet – dottore di filosofia all’Università Gregoriana di Roma e attualmente consigliere generale, e p. Jean-Jacque Flammang – attuale superiore provinciale della provincia euro-francofona.

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Vivendo in un contesto socio-culturale dove ci si abitua a pensare l’inter-nazionale compensandolo con l’inter-sociale (cfr. Bernard Badie) e l’inter-culturale, si può trarre dalla lettura dei libri di Michel Kouam e Christian Mofor (dir.), Philosophies et cultures africaines à l’heure de l’interculturalité. Anthologie (Tomes 1 et 2, L’Harmattan [coll. : Etudes Africaines], Paris, 2011) qualcosa per nutrire l’appropriazione dehoniana della problematica interculturale. Tanto più che nel secondo volume c’è il contributo di un confratello nostro (Léopold Mfouakouet) sotto il titolo « L’écriture de l’histoire de la philosophie africaine à l’épreuve de la mémoire diasporique » (p. 231-250).

Quest’ultimo cerca di sfruttare alcuni risultati dei Cultural Studies per descrivere la storia della filosofia negroafricana nella scia della problematica interculturale, leggendola alla luce della questione diasporica nera cioè della memoria creata dalla deportazione degli schiavi neri nel Nuovo Mondo. Questione cruciale dove memoria giudea e memoria nera si incrociano. Così viene data una nuova luce alla problematica interculturale, alla cosiddetta filosofia (e alla teologia) negroafricana finora dominata dalla questione dell’identità e dell’inculturazione, e alla cultura filosofica in generale. Rispetto alla cultura filosofica, il momento inaugurale della filosofia viene interpretato come cultura dell’oblio in riferimento alla dimenticanza non dell’essere (Martin Heidegger) o della scrittura (Jacques Derrida), ma della questione della schiavitù. (Emblematico il fatto che, pur denunciando l’ingiustizia rispetto a Socrate da parte dei tiranni che avevano fatto in modo che Platone prendesse la strada dell’esilio, egli dimentichi [eviti?] di filosofare sull’esser stato venduto come schiavo strada facendo…).

Sicuramente il Dehoniano, coinvolto da alcune di queste tematiche (identità e inculturazione/interculturalità; incrocio fra memoria giudea e memoria nera, ecc.), ne trarrà un alimento per la sua riflessione.

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Lo stesso autore è ritornato recentemente su questa stessa problematica affrontata da un altro punto di vista, lo stesso che muove l’enciclica Laudato Sì. Uscito in agosto di questo anno, sotto il titolo “Comment (ne pas) géophilosopher. Ou l’art d’imaginer Sisyphe heureux” (Ed. Les Impliqués, Paris, 2016, 170 p.), il nuovo libro di Léopold Mfouakouet cerca di pensare la differenza tra appartenenze e identità, e il rapporto fra le identità culturali a partire dalla questione delle frontiere (e dunque della traduzione) fra le lingue e fra le culture.

Ispirandosi a Paul Ricœur, Lukas K. Sosoe e Achille Mbembe per pensare la questione dell’identità in termini che ricordano Sisifo, si appropria l’invito di Albert Camus il quale voleva che si immaginasse quest’ultimo felice. Questa felicità viene condizionata dalla capacità degli esseri umani a pensare (e filosofare) tenendo conto delle sofferenze fatte agli altri, fra l’altro anche e soprattutto la sofferenza vissuta dalla natura, dalla terra (geo). Mette in rilievo la grande trappola che impedisce questo rapporto sano con la natura, cioè le caratterizzazioni dei popoli anche chiamate geografie del pensiero (cfr. Marc Crépon). Le guerre fra gli esseri umani (ben rappresentate in un quadro di Goya) fanno dimenticare agli uomini che i loro piedi si insabbiano a seconda dei colpi che si danno vicendevolmente. Questo insabbiamento viene interpretato come inquinamento della terra su cui viviamo, come guerra contro il mondo. Dimenticanza anche qua del fatto che in quanto esseri-al-mondo, saremo sempre vinti anche in caso di una nostra vittoria contro il mondo, contro la natura.

Da qui l’invito ad ascoltare e tradurre in lingua giuridica il grido della natura in termini di “amore che obbliga”, versione del post-moderno proposta da Paul Ricœur lettore di Franz Rosenzweig e di Hans Jonas. Mostra quanto forte è il legame fra le nostre identità (travagliate dalle geografie del pensiero, dalle caratterizzazioni dei popoli in quanto giustificate e legittimate dalle filosofie della storia) e il proseguimento della vita (bio) sulla terra (geo). Importa cioè il passare da una geofilosofia a una biogeofilosofia (ripresa originale di una idea rappresentata da un personaggio inventato da Michel Serres e chiamato Biogée).

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Parliamo ora di p. J. J. Flammang, sacerdote dehoniano, e del suo libro Dieu etant…diverses perspectives, Clairefontaine 2011, pp. 158.

Dio è…Questo è come un presupposto, una ovvia affermazione, forte come quella che ha prevalso nella modernità dove tutto è pensato prescindendo da Lui, come se Dio non esistesse: et si Deus non daretur.

In questo testo della collana Clairefointainer Studien, n. 8, P. Flammang raccoglie una ventina di articoli, pubblicati in parte a “Warte”, dove presenta libri di filosofia, teologia, letteratura e scienza.

Commentando alcune di queste pubblicazioni, in genere scritte dalla penna di credenti che cercano nuove vie, si pone come obiettivo quello di aprire la mente sulle problematiche che cercano di “ripensare” Dio dopo la sua presunta morte.

Partendo da una critica sull’esclusione di Dio dal campo scientifico, esso mostra come l’uomo mantiene ancora la sua unicità, che non nega la svolta antropologica del pensiero moderno; ma sostiene che esso non trae le conseguenze che sembrano necessarie. Ripensa Dio nella sua differenza fondamentale di riflessività umana e lo fa nella sua stessa fonte.

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