27 novembre 2022
27 nov 2022

Avvento del Signore: l’attesa di Colui che non è mai assente!

l 27 novembre 2022 ha segnato l'inizio di un nuovo tempo di spiritualità e liturgia per i cattolici di rito romano. È il tempo di Avvento. Ma cos'è questa stagione? Di cosa si tratta? Come si è arrivati a questa situazione nel corso della storia della Chiesa?

di  Eduardo Nunes Pugliesi, scj

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Il 27 novembre 2022 ha segnato l’inizio di un nuovo tempo di spiritualità e liturgia per i cattolici di rito romano. È il tempo di Avvento, che inizia la quarta domenica prima del Natale di nostro Signore Gesù Cristo. Ma cos’è questa stagione? Di cosa si tratta? Come si è arrivati a questa situazione nel corso della storia della Chiesa?
Per cercare di rispondere a queste domande, cominciamo col dire che nel vocabolario latino la parola adventus significa “evento”, “arrivo” o, comunque, il ricordo di un evento importante. Partendo da questo dato linguistico, notiamo che, nel corso della storia, il grande evento attorno al quale ha gravitato la spiritualità e la liturgia di questo tempo specifico non è una data civile, una conquista giuridica o un atto puramente umano. L’evento, in questo caso, è una persona: Gesù, il Cristo di Dio.
A partire dal IV secolo, prese gradualmente forma un periodo di preparazione al Natale. È curioso che la Chiesa di Roma – dove è nata la festa del Natale – abbia iniziato a celebrare un periodo preparatorio ad essa solo a metà del VI secolo.
Insomma, si fa strada la consapevolezza che la Chiesa deve prepararsi bene alla festa della nascita del Salvatore e le tradizioni, a poco a poco, si “contaminano” a vicenda. Ciascuna di queste tradizioni presenta molte peculiarità. Citiamo due sfumature fondamentali.
La prima si riferisce alla celebrazione dell’attesa che la Chiesa deve avere prima della manifestazione di Gesù nel giorno finale con il suo ritorno glorioso. Questa “attesa” della venuta del Signore è sempre stata forte tra i cristiani. Questa “speranza” è stata notata fin dai tempi apostolici. Basta leggere, tra i tanti esempi testuali, quello che l’autore dell’Apocalisse scrive, come una sorta di dialogo tra Gesù e la Chiesa, alla fine di questo libro misterioso: “Sì, vengo subito! Amen. Vieni, Signore Gesù! Maranatha!” (Ap 22,20). Se ci pensiamo bene, questo è l’Avvento che ogni cristiano vive concretamente per tutta la vita e non solo nei giorni che precedono il Natale. In fondo, cos’è la vita di un cristiano se non un’attesa dell’incontro definitivo con Colui che ha conosciuto solo per fede, ma che vuole vedere faccia a faccia.
La seconda sfumatura della celebrazione dell’Avvento, già presente nelle tradizioni di questo tempo liturgico nel primo millennio, è una sorta di memoria storica della Chiesa; il tentativo dei cristiani di mettersi “al posto” del popolo di Israele che, incoraggiato dalle promesse che Dio rivolgeva loro attraverso i profeti, attendeva l’arrivo dell’Unto di Dio. Questa attesa era considerata simbolica, poiché i cristiani hanno sempre professato la fede che l’Unto fosse già venuto nel mondo. Tuttavia, questa cosiddetta sfumatura “storica” è importante. Attraverso di essa, i cristiani di ieri e di oggi possono entrare a far parte di una narrazione che porta con sé un messaggio di salvezza che si rende presente in ogni liturgia (in particolare la Liturgia delle Ore e l’Eucaristia).
Così, con la ricchezza delle preghiere, dei testi biblici, dei colori e degli inni, ogni credente può mettersi simbolicamente al posto degli ebrei dell’Antico Testamento che aspettavano il Messia (che è già venuto), e allo stesso tempo può risvegliare il proprio cuore per guardare all’incontro personale con Gesù dopo la fine della vita presente. La bellezza di questo tempo ci fa intravedere la sorpresa che queste due sfumature di passato e futuro non sopprimano l'”oggi”. Qui e ora, quando la comunità si riunisce nel nome del Signore, Egli si rivela. “Ora vediamo come in uno specchio” (1 Cor 13,12), sotto i veli del sacramento dell’Eucaristia, nella Parola recitata, proclamata e accolta, nella forza della sacramentalità che tutta la creazione, la Chiesa stessa riunita, i suoi ministri e ogni battezzato manifestano.
È molto importante, come famiglia dehoniana, vivere bene l’Avvento e il Natale. La nostra spiritualità ama contemplare il mistero divino con gli occhi del cuore. Dal cuore ci presentiamo davanti a Dio. Ma questo non è un “primo atto”! Infatti, siamo sorpresi dal fatto che Dio stesso abbia assunto nell’Incarnazione un Cuore che ora non è solo divino: è pieno di umanità. Perciò la nostra contemplazione del Cuore di Cristo è già un amore rispondente, un “secondo atto”. È un atto di riparazione. Ed è bello sapere che nell’Incarnazione è Lui a riparare per noi.
La nostra vocazione dehoniana ci chiama a sentire il dolore nel cuore di ogni persona. Essere solidali perché il Cuore di Cristo è radicalmente solidale. In tempi bui, pieni di “voci di guerra” (cfr. Mt 24,6) e altre sofferenze, un vero “ministero della speranza” può dispiegarsi in molti modi nelle nostre comunità locali, attraverso modalità creative. Come possiamo essere “profeti dell’amore e servitori della riconciliazione” (Cost. 7)? Accogliamo lo Spirito ed egli ci mostrerà come fare (Cost. 23).
Inoltre, ricordiamo che Cristo è venuto come un bambino, è venuto per assumere un corpo, per “fare la volontà del Padre” (cfr. Eb 10,7), per diventare un’oblazione gradita. Non sprechiamo il nostro tempo, le nostre gioie e persino le nostre angosce. Uniamo tutto questo all’Oblato per eccellenza, affinché tutta la nostra vita sia una preghiera di sacrificio e tutto questo sacrificio sia un vero e proprio servizio dehoniano che possiamo rendere. Il mondo ha bisogno di sapere che Dio non è estraneo al suo dolore. Egli ha un Cuore e noi possiamo essere i suoi profeti! Un Avvento fruttuoso a tutti!

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