04 gennaio 2022
04 gen 2022

Brilla la Stella, luce per tutti i popoli

di  Fernando Rodrigues da Fonseca, scj

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Fin dai primi tempi della Chiesa, i Magi hanno suscitato un vivo interesse fra i fedeli. Sono stati uno dei temi preferiti dagli artisti paleocristiani: sui sarcofagi e nei dipinti appaiono molto più spesso della stessa scena della natività.

I cristiani non si sono accontentati delle scarne notizie che si trovano nel testo evangelico.

Mancano troppi dettagli: da dove venivano? Quanti erano? Come si chiamavano? Quale mezzo di trasporto hanno usato? Cos’hanno fatto dopo essere ritornati ai loro paesi? Dove sono stati sepolti?

Per rispondere a queste domande sono nate molte leggende. Si è detto che erano re, che erano tre, che venivano uno dall’Africa, uno dall’Asia e uno dall’Europa e che erano uno nero, uno giallo ed uno bianco. Guidati dalla stella, si erano incontrati in uno stesso punto e poi avevano percorso insieme l’ultimo tratto di cammino fino a Betlemme; si chiamavano Gaspare (il giovane imberbe e colorito), Melchiorre (il vecchio canuto dalla lunga barba), Baldassarre (l’uomo maturo con barba folta). Erano chiaramente i simboli delle tre età della vita. Per il viaggio si erano serviti di cammelli e dromedari. Dopo essere tornati a casa, quando già avevano raggiunto la veneranda età di 120 anni, un giorno rividero la stella, partirono e si ritrovarono di nuovo insieme in una città dell’Anatolia per celebrare la messa di Natale; lo stesso giorno, lieti, morirono. Le loro spoglie fecero il giro del mondo: prima a Costantinopoli, poi a Milano fino al 1162 quando furono trasferite nel duomo di Colonia in Germania.

Si tratta di storie piacevoli e commoventi, ma vanno tenute accuratamente distinte dal racconto evangelico per non compromettere il messaggio che il testo sacro vuole comunicare.

Cominciamo quindi a chiarire alcuni dettagli che nelle nostre menti sono strettamente legati alla figura dei Magi, ma che nulla hanno a che vedere con quanto narra Matteo.

Anzitutto non è detto che erano tre, ed erano “maghi”, non re. Dovevano appartenere alla categoria dei divinatori, degli astrologi, gente molto nota e apprezzata nell’antichità per la saggezza, per la capacità di interpretare i sogni, di prevedere il futuro e di leggere la volontà di Dio attraverso gli avvenimenti normali o straordinari della vita.

Non c’è da meravigliarsi che Matteo abbia introdotto i maghi nel suo racconto e li abbia scelti come simbolo di tutti i pagani che, prima degli stessi Giudei, hanno aperto gli occhi alla luce di Cristo.

Riguardo alla stella: era opinione diffusa che la nascita di un grande personaggio fosse accompagnata dall’apparizione in cielo della sua stella – grande per i ricchi, piccola per i poveri, sfuocata per i deboli. L’apparire di una cometa si pensava fosse il segno dell’avvento di un nuovo imperatore.

Ma davvero i Magi hanno visto una cometa?

Molti astronomi hanno dedicato tempo ed energie per verificare se, duemila anni fa, sia apparso nei cieli un astro particolarmente luminoso in concomitanza con la nascita di Gesù. Hanno verificato che nel 12-11 a.C. è passata la cometa di Halley, poi nell’anno 7 a.C. si è verificata per tre volte la congiunzione di Giove (la stella della regalità) con Saturno (la stella dei Giudei – secondo Tacito).

Ammirevoli per il loro impegno, ma, portata avanti in questo modo, la ricerca della cometa di Betlemme mi ricorda le spedizioni sull’Ararat per trovare l’arca di Noè.

Leggendo il testo di Matteo gli astronomi dovrebbero facilmente rendersi conto che l’evangelista non allude ad un fenomeno astronomico: i Magi vedono la stella che li precede mentre vanno da Gerusalemme a Betlemme, quindi una stella che va… da nord a sud. Davvero singolare! Tutti i corpi celesti si muovono da est a ovest.

La stella cui fa riferimento Matteo non va cercata in cielo, ma nella Bibbia.

L’evangelista scrive per lettori che conoscono bene l’AT e da secoli sono in attesa di veder apparire la stella di cui parla una misteriosa profezia contenuta nel libro dei Numeri.

In Nm 22-24 è narrata la curiosa storia di Balaam e della sua asina parlante. Balaam era un indovino, un mago dell’Oriente, proprio come quelli di cui ci parla il Vangelo di oggi. Un giorno egli, senza volerlo, fa una profezia: “Io lo vedo, ma non è un avvenimento che accadrà fra poco; lo sento, ma non è vicino: una stella spunta dalla stirpe di Giacobbe, un regno, nato da Israele, si innalza… Uno di Giacobbe dominerà i suoi nemici” (Nm 24,17.19).

Così parlava, circa 1200 anni prima della nascita di Gesù, Balaam, “l’uomo dall’occhio penetrante” (Nm 24,3) e da allora gli israeliti hanno cominciato ad attendere con ansia lo spuntare di questa stella che altri non era che lo stesso Messia.

Presentandoci i Magi dell’Oriente che vedono la stella, l’evangelista vuole dire ai suoi lettori: dalla stirpe di Giacobbe è spuntato l’atteso liberatore, è Gesù. E’ lui la stella.

Dovremo allora togliere dai nostri presepi la cometa? No! Contempliamo pure quella stella e indichiamola anche ai nostri figli, ma spieghiamo loro che la stella non è un astro del cielo, ma è Gesù, è lui la luce che illumina ogni uomo (Gv 1,9), è lui la fulgida stella del mattino (Ap 22,16).

Matteo scrive negli anni 80 d.C. e cosa verifica? Constata che i pagani sono entrati in massa nella Chiesa, hanno riconosciuto e adorato la stella, mentre i Giudei che da tanti secoli la stavano aspettando, l’hanno rifiutata.

Il racconto dei Magi è dunque una “parabola” di ciò che sta accadendo nelle comunità cristiane alla fine del I secolo. I pagani che hanno cercato con onestà e costanza la verità hanno ricevuto da Dio la luce per trovarla.

A Matteo preme mettere in risalto un altro particolare: i Magi (simbolo dei popoli pagani) non sarebbero mai giunti a Cristo se i Giudei, con le loro Scritture, non avessero indicato loro il cammino. Israele, pur non avendo seguito la stella, ha portato a compimento la sua missione: è stato il mediatore della salvezza di tutti i popoli.

Ora proviamo a collegare il Vangelo di oggi con la prima lettura. Il profeta diceva che, quando in Gerusalemme fosse brillata la luce del Signore, tutti i popoli si sarebbero messi in cammino verso questa città santa, portando i loro doni. Con il racconto dei Magi, Matteo vuole dirci che si è realizzata questa profezia: guidati dalla luce del Messia, i popoli pagani (rappresentati dai Magi) si dirigono verso Gerusalemme, per portare oro, incenso e mirra. La pietà popolare ha applicato a ognuno di questi doni un significato simbolico: l’oro indica il riconoscimento di Gesù come re, l’incenso rappresenta l’adorazione di fronte alla sua divinità, la mirra richiama la sua umanità – questa resina profumata verrà ricordata durante la passione (Mc 15,23; Gv 19,39).

Anche la storia delle cavalcature non è stata inventata dal nulla; è ancora la prima lettura di oggi che ci parla di “uno stuolo di cammelli e di dromedari” che vengono dall’Oriente (Is 60,6).

A differenza dei pastori che sono rimasti a contemplare e a gioire di fronte alla salvezza che il Signore aveva loro rivelato, i Magi si sono prostrati in adorazione (v.11). Il loro gesto richiama il cerimoniale di corte – la prostrazione e il bacio dei piedi del re – oppure il bacio del suolo davanti all’immagine della divinità. I pagani hanno dunque riconosciuto come loro re e loro Dio il bambino di Betlemme e a lui hanno offerto i loro doni.

Essi sono divenuti il simbolo degli uomini di tutto il mondo che si lasciano guidare dalla luce di Cristo. Sono l’immagine della Chiesa, composta da gente di ogni razza, tribù, lingua, nazione. Entrare nella chiesa non significa rinunciare alla propria identità, non vuol dire sottomettersi ad un’ingiusta e falsa uniformità. Ogni persona e ogni popolo mantiene le proprie caratteristiche culturali. Con esse arricchiscono la chiesa universale. Nessuno è così ricco da non aver bisogno di nulla e nemmeno tanto povero da non aver nulla da offrire.

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