Carissimi amici,
Il fragile tessuto urbano e sociale della città di Beira e dell’area lungo il chiamato “corridoio di Beira”, dove vive circa un milione di persone, nella notte tra giovedì 14 e venerdì 15 marzo è stato scosso da un uragano di forza 4 su una scala di 5, con venti attorno ai 200Km all’ora. Nella città: edifici scoperchiati e vetri in frantumi, alberi sradicati o spezzati, tralicci elettrici e antenne telefoniche abbattuti, nella periferia molte case abbattute. Le vittime di cui siamo a conoscenza sono varie decine, ma è difficile avere dei dati esatti perchè le reti telefoniche non funzionano e lo stato non ha la capacità di fare una raccolta dati.
Da giovedì non c’è corrente elettrica, acqua nella rete idrica, comunicazioni telefoniche e, anche l’unica strada che lega la città al resto del paese è stata interrotta dall’acqua. Questo messaggio parte grazie a un’antenna telefonica ristabilita nell’area dell’aeroporto, rimasto chiuso per tre giorni.
L’unico blocco operatorio di tutta la regione, quello dell’ospedale centrale, è stato scoperchiato ed allagato, reso quindi inoperazionale. Le scuole, chiuse a tempo indeterminato. La maggioranza delle aule scolastiche hanno i tetti di lamiera, praticamente tutti questi sono stati divelti. La diocesi ha in questa area scuole per più di 9.000 alunni.
Il cibo per molte famiglie è già un’emergenza, ma anche in città oltre ai prezzi ulteriormente rialzati, le scorte sono limitate perchè molti magazzini e negozi sono stati scoperchiati e le derrate alimentari perdute.
E… continua a piovere. Oltre alle case senza tetto e quindi tutto esposto alla pioggia, alcuni fiumi, alimentati dalle piogge del ciclone nelle aree dell’interno e nel vicino Zimbabwe, stanno straripando.
Delle 25 parrocchie che abbiamo in questa area, praticamente tutte hanno avuto dei danni più o meno gravi, tre chiese sono state letteralmente rase al suolo. Danni anche alle case dei sacerdoti che lavorano in queste parrocchie, al seminario (stavamo finendo di costruire il refettorio e la cappella), alla radio diocesana e a tante altre strutture diocesane. Anche la mia casa, dove funzionano anche gli uffici di curia, è completamente scoperchiata e quindi il primo piano, quello delle stanze da letto … è rimasto a cielo aperto e quindi alla pioggia. Ci siamo “rifugiati” al piano terra ma con l’acqua che scende dalle scale e gocciola dal soffitto in molte parti.
In questo momento non c’è molto che si possa fare. I magazzini con materiale per coprire le case, nonostante i prezzi “ritoccati” per l’occasione, hanno venduto tutto in due giorni. Anche con materiale reperibile, ci sarà lavoro per mesi per le poche maestranze qualificate disponibili. Stiamo cercando di raccogliere dati per fare una lista dei danni almeno a livello di strutture, sgomberare i cortili dagli alberi caduti e dalle macerie cadute dai tetti.
Impressiona che con questo scenario, quando si chiede a qualcuno come stia, generalmente risponde con un sorriso: “bene”. In periferia, dove le casette sono molto precarie, tutte le lamiere volate dai tetti sono state raccolte e ognuno ha cercato di fare per la sua famiglia un piccolo rifugio, magari appoggiando un paio di lamiere alle uniche due pareti rimaste di quella che chiamava casa.
Anch’io quindi dico: “sto bene”. Cerchiamo di affrontare quello che viene ogni giorno, sperando almeno che … smetta di piovere.
Un saluto a tutti,