Espressioni accademiche della sinodalità nella dinamica del carisma dehoniano
L’autore è stato professore universitario e spiega il rapporto tra il carisma dehoniano, il mondo accademico e il sinodo.
Secondo un’etimologia diffusa (ripresa anche dalla CTI), “sinodo” deriva dal greco “sun” (“con”) e “hodos” (“via”), da cui il significato di “cammin(are) con, insieme”. La bellissima e ricca retorica del “camminare insieme” può naturalmente essere utilizzata nella pratica della sinodalità, ma questa non sembra essere la corretta etimologia della parola greca “sinodo”, che equivale al latino concilium (con-calare, chiamare con, convocare; ek-klèsia). “Sinodo” deriva non da “sun” e “hodos” (spirito aspro in greco), ma da “sun” e “oudos” o “odos” (spirito dolce in greco), che significa “soglia” (di un’abitazione), il passaggio da attraversare se si vuole vivere insieme o incontrarsi per scambiare, dibattere, discutere, ecc. La parola sunodos designa quindi tutti i tipi di assemblee, riunioni o colloqui, in cui le persone si riunivano per ascoltarsi, condividere e decidere (come nell’assemblea di Gerusalemme, Atti 15). “Sinodo” significa quindi varcare la soglia di un luogo per fermarsi, incontrarsi e fare il punto insieme. Essere, vivere, parlare insieme ha la precedenza sul fare insieme. Preferisco intendere il sinodo e la sinodalità in questo senso primario di assemblea, scambio e consultazione (come un consiglio, del resto).
In quest’ultima prospettiva, quali sono i “valori” o le “qualità” sinodali? Pur partendo da un’etimologia diversa, sono d’accordo con alcune delle “virtù” sinodali individuate da P. Marcial Maçaneiro, il quale ha parlato di “virtù sinodali”, “virtù” che sono anche dehoniane secondo le nostre Costituzioni: comunione e Sint unum (Cst 32, 63, 65, 66), solidarietà (Cst 29, 38), fraternità (Cst 18, 28, 63, 65), lasciarsi interrogare in comunità (Cst 61, 66), discernere la volontà di Dio in comunità (Cst 35, 72), dialogo e corresponsabilità (Cst 55, 67).
Questi atteggiamenti, soprattutto gli ultimi tre, più precisi e concreti, mi sembrano particolarmente favorevoli e indispensabili per praticare una vera sinodalità nelle comunità religiose, ma anche in qualsiasi settore d’attività, come l’università.
Senza essere esclusivamente dehoniani, questi atteggiamenti (di cui non si deve dimenticare la finalità di comunione e fraternità) devono naturalmente essere sviluppati soprattutto da un dehoniano nel suo campo di apostolato.
All’università, un insegnante dehoniano sarà quindi particolarmente attento, attraverso i suoi corsi, seminari e la direzione di tesi di laurea, a incoraggiare nei suoi studenti un atteggiamento di (auto)interrogazione (lasciarsi interrogare dalle persone, dai fatti, ecc. accettando il dibattito con gli altri, che è peraltro la base dell’approccio scientifico insegnato all’università), un atteggiamento di dialogo e di corresponsabilità nel lavoro di studente e, più fondamentalmente, nel discernimento della verità, la capacità di incontrarsi e di consultarsi per risolvere i problemi comuni e di dare personalmente l’esempio di ciò che si vuole incoraggiare nei propri studenti.
Un docente universitario è anche tenuto a partecipare alle numerose riunioni (collegiali) di consultazione o di deliberazione istituzionalmente previste, sia a livello di facoltà che di università nel suo complesso: consiglio di facoltà, commissioni didattiche, delibere d’esame, ecc. Un dehoniano sarà anche particolarmente attento a vivere questi “valori sinodali” che gli stanno a cuore e a promuoverli tra i colleghi, sia nei rapporti personali che promuovendo nuove regole per un funzionamento più sinodale (collegiale) di queste istituzioni.
Tutto ciò, a maggior ragione, se il professore dehoniano è un preside di facoltà, ad esempio, e quindi esercita un ruolo di governo che gli permette di influenzare più direttamente il funzionamento sinodale (collegiale) dell’istituzione accademica a tutti i suoi livelli.