14 gennaio 2021
14 gen 2021

I nuovi progetti missionari della Congregazione

Intervista a p. Stephen Huffstetter SCJ, vicario generale della congregazione, sullo stato attuale delle nuove missioni dehoniane.

di  Boris Igor Signe, scj

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Caro Padre Stephen, il programma missionario dell’amministrazione generale sembra essere molto ambizioso. Puoi dirci brevemente di cosa si tratta?

Dehon aveva un grande amore e aveva molto a cuore le missioni, e noi vogliamo essere fedeli al nostro carisma di fondazione. Riceviamo spesso richieste da parte dei Vescovi per lavorare in una diocesi o in un Paese dove non siamo già presenti. Il Consiglio generale ha discusso le possibilità di nuove presenze in paesi in cui non siamo ancora presenti, e intende andare avanti a piccoli ma decisi passi.

Il Consiglio generale precedente aveva stilato un piano coraggioso che racchiudeva molte nuove possibili presenze missionarie. Il nuovo consiglio generale ha ereditato il piano, ne ha discusso e ha chiesto ad ogni regione geografica di concentrarsi su una nuova missione. Nel caso dell’Asia la scelta è stata quella di rafforzare la Comunità internazionale in Asia (ICA), che è ancora nella sua fase iniziale. L’Africa ha identificato il Kenya come nuovo campo di missione, la cui realizzazione sarà probabilmente posticipata di un anno. La Colombia ha ricevuto i primi dehoniani nell’ottobre 2020 e nei prossimi mesi l’Olanda si sta preparando a far sì che tre membri comincino a studiare la lingua e la cultura olandese.

Tra tutti questi progetti missionari, quali sono stati realizzati?

La Colombia sta da poco prendendo piede. In una zona povera di Bogotà si è insediata una nuova comunità con quattro confratelli. Il nostro obiettivo è di concentrarci più sulla riparazione e la riconciliazione all’interno delle famiglie che sul lavoro sacramentale parrocchiale.

Quali sono le principali sfide che generalmente affrontate quando aprite una nuova missione in un paese straniero?

Le principali sfide sono: trovare le persone, il luogo, il progetto e le risorse giuste per coprire le spese. A parte questo, il resto è facile!

La prima sfida è cercare di capire la lingua e la cultura. La prima questione che dobbiamo porci è: che contributo può offrire il nostro carisma al popolo di Dio in quella terra? Come possiamo realizzare un progetto apostolico che rifletta i valori e le finalità della nostra Congregazione? Vi è poi la questione pratica della sostenibilità finanziaria. In passato le Province stesse si sono assunte la responsabilità di reclutare il personale, e hanno sostenuto finanziariamente la nuova missione. Questo modello oggi non è più sostenibile. È importante che i missionari vivano, per quanto possibile, del frutto del proprio lavoro.

Sono queste difficoltà che hanno rallentato l’apertura della presenza dehoniana in altri paesi, come previsto dal vostro programma?

Molti vescovi chiedono l’aiuto di sacerdoti in luoghi remoti, il che di solito significa che dovrebbero vivere da soli. Anche se il ministero nelle periferie è importante per noi, non vogliamo che i nostri confratelli vivano da soli. Vogliamo luoghi di ministero dove la vita comunitaria sia non solo promossa ma anche possibile. Cerchiamo luoghi che siano in grado di far sviluppare i talenti dei confratelli che si mettono al servizio degli altri. Bisogna anche considerare che è necessario un qualificato periodo tirocinio per chi si sta formando alla nuova missione.

Anche l’ottenimento di visti e permessi richiede tempo. In alcuni Paesi abbiamo difficoltà ad ottenere il permesso per poter lavorare.

Ci può dire qualcosa in più sulle nuove presenze missionarie programmate nel 2021?

Nei prossimi mesi, speriamo di avviare la nuova comunità in Olanda. Non è una presenza nuova, poiché storicamente abbiamo avuto una forte presenza in quella parte del mondo. Infatti, le nostre province olandese e fiamminga sono state tra le più generose nel servizio alle missioni. Ora vedono la loro missione come vicina al compimento, e il Consiglio generale vorrebbe passare la fiaccola a una nuova generazione di dehoniani, formando una comunità internazionale, il cui scopo è anche quello di continuare la presenza del nostro carisma e della nostra spiritualità in quella parte del mondo.

A causa della pandemia di Covid, e di altri ritardi, il progetto del Kenya potrebbe ritardare di un anno.

È facile trovare confratelli per le nuove missioni o vi affidate principalmente alle cosiddette entità del Sud, con ancora molte vocazioni?

Non è certamente facile trovare personale disponibile. I confratelli più giovani sono pieni di entusiasmo e di ideali. Le entità più piccole e più anziane hanno persone ricche di sapienza, esperienza e desiderio di servire, e sono state tra le più generose nel donarsi alla missione. Per le entità con pochi membri è una grande sforzo “liberare” un confratello per le missioni. Ma questo è un segno reale che il nostro spirito missionario è vivo e vegeto.

È anche importante che la Chiesa del Sud del mondo sviluppi un forte senso della missione e del servizio all’interno della propria cultura e realtà, raggiungendo le periferie con progetti ben definiti.

La vita comunitaria è abbastanza gratificante, ma non è facile e richiede sforzi da parte di tutti. Quando persone di diversa estrazione culturale si riuniscono per formare una comunità internazionale, è ancora più impegnativo. Ma nello spirito del Sint Unum, come ci ricordano le nostre costituzioni, “vorremmo testimoniare che la fraternità di cui gli uomini hanno sete è possibile in Gesù Cristo e noi vorremmo esserne i servitori.” (Cst. 65)

Un’ultima domanda. Con quale spirito dovremmo intraprendere una nuova missione?

Trovo ispirazione dal capitolo finale del Vangelo di Matteo. Dopo aver incaricato i discepoli di andare a fare discepoli di tutte le nazioni, Gesù promette anche di essere con loro, fino alla fine dei secoli. Credo che quando avremo fiducia e intraprenderemo coraggiosamente la Sua missione, saremo benedetti in innumerevoli, inaspettati modi.

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