Di fronte alle espressioni drammatiche e molto esplicite con cui inizia il Vangelo di oggi, si è portati a pensare che Gesù stia dando in anticipo qualche informazione su ciò che accadrà alla fine del mondo.
È così che il testo è stato spesso interpretato, non solo dai fanatici delle sette fondamentaliste, ma, in passato, anche da qualche predicatore nelle nostre chiese.
Il susseguirsi dei fatti narrati è agghiacciante: segni nel sole, nella luna e nelle stelle, le potenze dei cieli che vengono sconvolte e sulla terra il fragore terrificante del mare agitato da una spaventosa burrasca.
Sembra il preludio ideale alla scena degli angeli che con le loro trombe vengono a risvegliare i morti e all’apparizione, sulle nubi del cielo, del Cristo giudice. Giudice severo (difficile immaginarlo diverso, conoscendo qual è stata la storia dell’umanità, almeno fino ad oggi) venuto per pronunciare l’inappellabile verdetto.
Il minaccioso annuncio della fine del mondo oggi sgomenta sempre meno: turba psicologicamente qualche persona e fa invece sorridere coloro che dovrebbe scuotere, far riflettere, riportare alla ragione.
Se l’obiettivo di Gesù fosse quello di incutere paura non avrebbe raggiunto lo scopo.
Gesù non intende suscitare spavento, ma ottenere esattamente l’opposto. Egli vuole liberare dalla paura, suscitare gioia, infondere speranza. Lo vedremo: non sta minacciando cataclismi, ma annuncia un evento lieto.
Cerchiamo allora di capire il significato di questo difficile brano, difficile perché usa un linguaggio che non è più il nostro.
Per descrivere un grande cambiamento, una trasformazione radicale del mondo, un intervento risolutore di Dio, la Bibbia è solita impiegare immagini impressionanti – le cosiddette immagini apocalittiche – molto usate dai predicatori e dagli scrittori del tempo di Gesù.
Notiamo, anzitutto, che gli elementi menzionati (il sole, la luna, le stelle, le potenze dei cieli, il mare) sono gli stessi che compaiono nel racconto della creazione.
Il libro della Genesi inizia con le parole: “La terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l’abisso” (Gen 1,2). Nessuna luce, nessuna forma di vita, tutto era disordine e oscurità fino a quando Dio non intervenne con la sua parola. Poi comparvero il sole e la luna per segnare regolarmente i ritmi dei giorni, delle notti e delle stagioni.
Il mare – immaginato dagli antichi come un mitico mostro – invadeva la terra, ma Dio “lo chiuse tra due porte… gli mise un chiavistello e disse: fin qui giungerai e non oltre e qui si infrangerà l’orgoglio delle tue onde” (Gb 38,8-11).
Così si passò dal caos al cosmo e la terra divenne abitabile per uomini, animali e piante.
Nel nostro brano si annuncia un movimento opposto: viene descritto un ritorno al caos primordiale. Si dice che le forze che mantengono l’ordine nell’universo vengono sconvolte, si regredisce alla situazione confusa, informe e buia che esisteva prima della creazione.
Le immagini apocalittiche usate da Gesù non si riferiscono a esplosioni di astri, a scontri catastrofici di stelle e pianeti, ma parlano di ciò che accade oggi. È nel nostro mondo che diviene impossibile vivere: si commettono soprusi e ingiustizie, ci sono odio, violenze, guerre, condizioni disumane, la natura stessa viene distrutta dallo sfruttamento sconsiderato delle risorse ed anche i ritmi dei tempi e delle stagioni non sono più regolari.
Angosciati gli uomini si chiedono: cosa accadrà? Dove andremo a finire?
Ecco la paura. Di fronte al male che li sovrasta e che non riescono a controllare gli uomini sanno solo spaventarsi e tremare: “Gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra” – dice il Vangelo di oggi (v.26).
È il terrore che gli uomini provano di fronte ai disastri che hanno provocato con il rifiuto di ogni legge etica, con il disprezzo dei valori più sacri, con la perdita di tutti i punti di riferimento morale.
La storia dell’umanità è dunque avviata verso una ineluttabile catastrofe?
No – assicura Gesù (ed è questo il messaggio centrale del brano) – ma piuttosto verso una nuova creazione. Ove si scorgono segni del disordine provocato dal peccato, lì va atteso il Figlio dell’uomo con potenza e gloria grande. La sua forza farà nascere dal caos un mondo nuovo (v.27).
Il pericolo da cui Gesù vuole mettere in guardia è la paura e lo scoraggiamento di fronte al male. Egli invita ad aprire il cuore alla speranza: il mondo dominato dall’ingiustizia, dalla cattiveria, dall’egoismo, dall’arroganza è giunto alla fine e ne è già spuntato uno nuovo.
Che fare nell’attesa? (v. 28).
Anche se il caos che ancora esiste è spaventoso, il discepolo non si abbatte. Non si china come gli altri uomini piegati dall’angoscia, “tramortiti dalla paura”. Si alza e leva il capo. Non si aspetta un intervento prodigioso di Dio, non si culla nella vana speranza che qualcosa possa improvvisamente cambiare per qualche inattesa coincidenza preordinata dal cielo.
Il mondo nuovo può nascere da qualunque situazione caotica, basta lasciare operare la parola di Dio, come è accaduto all’inizio della creazione.
Quante persone vediamo camminare “curve”, oppresse dal dolore e dalle disavventure, rattrappite dalla paura. Non hanno la forza di risollevare il capo perché hanno perso ogni speranza: la moglie abbandonata dal marito, i genitori delusi dalle scelte dei figli, il professionista rovinato dall’invidia dei colleghi, gli uomini vittime dell’odio e della violenza, le persone che si sentono in balia dei loro istinti…
Il Vangelo di oggi invita tutti a “levare il capo”. Non c’è caos da cui Dio non possa ricavare un mondo nuovo e meraviglioso. Questo mondo nasce nell’istante stesso in cui si permette a Dio di realizzare il suo Avvento nella nostra vita.
Di fronte alle forze del male che sembrano sempre avere la meglio, oltre allo scoraggiamento c’è il pericolo della fuga, della ricerca di palliativi, delle soluzioni fasulle (vv.34-35).
Luca – che forse ha sott’occhio il comportamento di alcuni cristiani delle sue comunità – li elenca in modo crudo. Accenna anzitutto alle crapule, alle sbevazzate. Sono il simbolo di tutte le dissolutezze, di tutte le evasioni e le dissipazioni mediante le quali cerchiamo di anestetizzare le delusioni e i fallimenti. Queste evasioni sono “un laccio” (v.35), una trappola in cui molte persone cadono, restano impigliate senza riuscire più ad andare incontro al Signore che viene.
Come rimanere svegli, attenti, pronti a cogliere il momento e il luogo in cui il Signore viene? È molto facile confondersi, ingannarsi, aspettarlo dove egli non viene e precludergli invece la strada dove egli desidera entrare (nelle nostre cattive abitudini, nel nostro attaccamento ai beni di questo mondo, nei nostri progetti di grandezza…).
C’è un solo modo per rimanere vigilanti: pregare (v.36). La preghiera – dice Gesù – avrà due effetti: darà la forza di “sfuggire a tutte quelle cose che stanno per accadere”, cioè, ci farà vedere con lo sguardo di Dio tutti gli avvenimenti e impedirà che veniamo colti dalla paura. Nulla ci spaventerà perché sapremo cogliere in ogni evento – lieto, triste e anche drammatico – il Signore che viene, che viene per farci crescere, per farci maturare, per avvicinarci a lui.
La preghiera ci permetterà anche di stare in piedi, cioè, di attendere senza timore il Figlio dell’uomo. Ci renderà pronti ad accoglierlo e a partire con lui verso quegli spazi di libertà dove egli ci vuole condurre.
È la preghiera che libera dalla mentalità corrotta di questo mondo, che fa assaporare e gustare il giudizio di Dio sulla storia e che avvicina all’uomo.