Il contributo teologico di p. Joseph Famerée, scj
Omaggio accademico all'Università Cattolica di Lovanio, in occasione dell'emerito padre Joseph Famerée, scj. Joseph Famerée, ha fatto dell'ecumenismo e della teologia del Vaticano II il nucleo del suo pensiero ecclesiologico.
Un evento singolare ha segnato la giornata di 22 ottobre 2021 all’Université Catholique de Louvain a Louvain-La-Neuve: la Sessione Tributo, in occasione dell’emerito professor Joseph Famerée. La cerimonia è stata organizzata dalla Facoltà di Teologia e dall’Istituto di Religioni, Spiritualità, Culture e Società con la partecipazione di professori delle due Università cattoliche di Lovanio, quelle di Louvain-la-Neuve (UCL, di lingua francese) e di Lovanio (KUL, di lingua olandese e inglese), nonché della Facoltà di Teologia di Ginevra, di studenti e ricercatori, di amici e parenti di padre Joseph Famerée e, naturalmente, di una mezza dozzina di confratelli dehoniani.
La carriera accademica di p. Famerée
Durante la sessione di tributo sono stati tenuti diversi interventi, dal discorso introduttivo del professor Walter Lesch, presidente dell’Istituto di religioni, spiritualità, culture e società, al discorso del professor Geert Van Oyen, decano della facoltà di teologia, e alla presentazione da parte del professor Benoît Bourgine del volume collettivo di omaggio pubblicato in onore dell’eletto del giorno, intitolato Le souci de toutes les Églises. Mentre la prima presentazione ha catturato l’attenzione del pubblico coinvolgendolo in un gioco di domande su professor Joseph Famerée, ma anche su ciò che il concetto di emerito o l’importanza dell’ecumenismo può significare oggi, le presentazioni successive hanno dato un panorama della ricca e impegnativa carriera accademica del professore. I tratti biografici faranno poi luce sulla traiettoria, la visione e le convinzioni del professor Joseph Famerée, che ha fatto dell’ecumenismo e della teologia del Vaticano II il nucleo del suo pensiero ecclesiologico.
Il dialogo ecumenico
Il suo pensiero ecclesiologico è stato ulteriormente evidenziato dagli ospiti speciali di questa cerimonia, i professori Elisabeth Parmentier dell’Università di Ginevra e Peter De Mey dell’Università Cattolica di Leuven, che a loro volta hanno risposto alla domanda: Impegnarsi nell’ecumenismo oggi. Perché? Come? Mostrando la complessità del campo ecumenico, ma anche la sua necessità per la vitalità e la sopravvivenza delle Chiese (affinché il Vangelo sia autenticamente proclamato, le divisioni non prevalgano sul Vangelo, la pienezza della Fede sia l’obiettivo di tutti), i relatori hanno rilevato l’attualità e il valore del lavoro del professor Joseph Famerée, il suo impegno non solo intellettuale ma anche personale, che fanno di lui un raro esempio, difficilmente sostituibile. Gli ecclesiologi non sono frequenti, e ancor meno quelli si trovano docenti convinti che l’ecumenismo sia il futuro delle nostre chiese e della nostra società. La responsabilità dei responsabili delle Chiese è stata così evocata per liberarsi delle restrizioni e delle barriere di ogni tipo, affinché l’unità delle Chiese nella loro diversità possa finalmente essere realizzata, e le Chiese possano raggiungere un “consenso differenziato”, concetto fondamentale nell’opera e nelle riflessioni del professor Joseph Famerée.
Oltre ai contributi dei professori Parmentier e De Mey, c’è stato un omaggio scritto dal professor Christos Filiotis dell’Università di Salonicco, che non ha potuto partecipare per motivi di salute. Con esempi concreti, ha mostrato come l’ecumenismo ha preso vita nella e attraverso la persona del professor Joseph Famerée, notando, al di là delle differenze tra cattolici e ortodossi, punti alti ecumenici come la liturgia, la sacramentalità e la ministerialità.
Un lavoro che continua
Come ha riferito un oratore, il Prof. Famerée ha percorso il mondo, le frontiere ecclesiali, le cattedre delle università cattoliche, protestanti e ortodosse, predicando l’unità delle Chiese nella “pienezza della Fede”, la guarigione delle memorie che ne è la via, la valorizzazione di un “linguaggio trasformativo” e performativo, che ne è il mezzo, e soprattutto il “consenso differenziato” ovvero il riconoscimento delle legittime differenze sulla base di un consenso fondamentale. Il professore emerito non lascia per sempre il mondo dell’università e della ricerca. Continuerà, per quanto possibile, varie collaborazioni, non solo perché il suo apporto teologico continui a essere diffuso, ma anche perché il suo insegnamento illumini le generazioni future. Quindi, emerito non è un dolce riposo (soprattutto quando, nel frattempo, si diventa provinciali), ma è, come diceva un saggio: “avere molti meriti”. Ecco i suoi meriti, caro professor Joseph Famerée, scj.