01 marzo 2024
01 mar 2024

Insieme a Francesco, per una Chiesa sinodale

Dopo la lettera vaticana ai vescovi tedeschi , mons. Heiner Wilmer (vescovo di Hildesheim) prende la parola per favorire un processo di reciproca e onesta comprensione tra Roma e la Germania

di  Heiner Wilmer
Settimananews

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Ci troviamo di fronte a uno scisma in Germania? Ci sarà uno frattura nella Chiesa cattolica a nord delle Alpi? Una seconda Riforma? Questo fantasma sta circolando da alcuni anni in giro per il mondo cattolico. Finora in Germania non siamo riusciti a dissipare questo spettro, soprattutto per quanto riguarda la percezione all’estero, ma non solo.

Per essere subito chiari: non ci sarà nessun scisma e nessuno dei vescovi in Germania lo ha mai voluto.

La settimana scorsa, noi vescovi tedeschi ci siamo riuniti per l’Assemblea plenaria di primavera ad Augsburg. Poco prima abbiamo ricevuto una lettera da Roma che ci chiedeva di non approvare gli statuti della Commissione sinodale durante questa riunione.

I cardinali Pietro Parolin (Segreteria di stato), Victor M. Fernández (Dicastero per la dottrina della fede) e Robert F. Prevost (Dicastero per i vescovi) ci hanno ricordato l’accordo di «approfondire congiuntamente le questioni ecclesiologiche trattate dal Cammino Sinodale, compreso il tema di un organo consultivo e decisionale sovra-diocesano, nel prossimo incontro tra i rappresentanti della Curia romana e della Conferenza episcopale tedesca».

È stata una decisione giusta quella di non procedere con la votazione degli statuti della Commissione sinodale. È stato giusto prendere sul serio le preoccupazioni dei tre cardinali e quindi anche quelle del santo padre.

Ed era la cosa giusta da fare riflettere insieme su come annunciare il Vangelo nella nostra Chiesa, su come stare con le persone nel nome di Gesù Cristo, su come accompagnarle nella vita – soprattutto quelle che sono emarginate e che, proprio per questo, sono al centro del Vangelo. Abbiamo capito.

Come si può andare avanti? Com’è possibile prendere sul serio le preoccupazioni del santo padre sull’unità della fede, come ha chiesto recentemente il cardinale Christoph Schönborn?

Come interpretare il ministero del papa non in chiave di di potere, sul modello di «Roma contro la Germania»? Ma anche come non alimentare il discorso su un sentimento anti-romano del tipo «Germania contro Roma»?

E, naturalmente, com’è possibile per noi vescovi, nel nome di Gesù Cristo, rimanere al fianco dei fedeli, comprendere le loro sofferenze e preoccupazioni, non solo quelle della loro vita quotidiana e della società, ma anche in relazione alla nostra Chiesa?

Vorrei cercare una risposta a queste domande toccando dieci temi. Li considero un contributo alla discussione senza alcuna pretesa di completezza. Possono essere un aiuto per un’intesa condivisa, per capirsi reciprocamente.

Lo sfondo delle mie riflessioni non è la questione di come far valere certe opinioni politiche, ma di come far crescere la fede, l’amore e la speranza tra le persone «affinché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza» (Gv 10,10).

Primo: la sinodalità è necessaria

«Il cammino della sinodalità è ciò che Dio si aspetta dalla Chiesa del terzo millennio». Papa Francesco ha già pronunciato questa frase nell’ottobre 2015 nel suo discorso in occasione del 50° anniversario dell’istituzione del Sinodo dei vescovi. Si trova anche nel testo della Commissione teologica internazionale La sinodalità nella vita e nella missione della Chiesa del 2018.

Anche i fedeli attribuiscono grande importanza a una Chiesa sinodale. Ma cosa significa sinodale? La risposta a questa domanda sarà il risultato del processo sinodale stesso.

Ciò che è tuttavia chiaro è che l’azione sinodale significa ascolto: ascolto dello Spirito Santo, ascolto reciproco, ascolto di come lo Spirito di Dio si manifesta nella storia, nel popolo credente, nel presente.

Secondo: riconoscere l’infallibilità del popolo di Dio

Papa Francesco richiama ripetutamente l’insegnamento del Concilio Vaticano II sull’infallibilità del popolo di Dio in materia di fede (cf. LG 12).

Tuttavia, questo «sensus fidei» non può essere accertato attraverso indagini sociologiche religiose basate sui big data. Il senso della fede del popolo di Dio è incastonato nella grande rete spirituale che viene intessuta dalla meditazione della sacra Scrittura, dalla tradizione, dal magistero, dalla competenza dei teologi e delle teologhe, e dai segni dei tempi.

Insieme al santo padre, è compito dei vescovi essere fautori di questa dinamica. Questo fa parte della loro responsabilità, che non possono delegare a gruppi di lavoro o a consigli specifici.

Terzo: siamo una Chiesa sacramentalmente costituita

La Chiesa non è semplicemente il risultato delle nostre idee, ma è una comunità data da Dio, una comunità edificata dallo Spirito. In quanto comunità, essa vive dell’essere insieme gli uni con gli altri, di uno stile di reciprocità e di fraternità.

In questo modo, la presenza di Dio può essere sperimentata e vissuta anche in mezzo a noi. È un dono per noi e per il mondo. È, come dice il Concilio, un’icona della Trinità (cf. LG 4), segno e strumento dell’amore di Dio per gli uomini, e dell’unità e della coappartenenza di tutta l’umanità (cf. LG 1).

Quando parliamo del mistero della sacramentalità della Chiesa, ci troviamo oggi in una situazione che rappresenta anche una sfida: la diversità delle posizioni porta alla polarizzazione, all’indurimento dei fronti, all’esclusione reciproca – e, in definitiva, a una contro-testimonianza dell’unità che è la Chiesa.

Abbiamo bisogno di una spiritualità che sappia vivere il dissenso e la comunità senza dissolvere ciò che ci lega gli uni agli altri. Questa è la nostra vocazione e il nostro essere.

Quarto: una Chiesa che vede il mondo come dono e compito

In vista della nostra missione di proclamare la buona novella di Gesù Cristo, siamo profondamente grati, nello spirito del Vaticano II, per le conoscenze acquisite dalle scienze – come ad esempio quelle della filosofia e psicologia, e quelle che vengono apportate dalle diverse culture.

Siamo grati per la storia dello sviluppo della nostra società. Questo include anche le nostre conoscenze sull’essere umano, che ci aiutano oggi a riconsiderare le idee tradizionali sulla natura dell’essere umano e sul suo essere enigmatico.

Perché è così che si impara, come dice il Concilio. «È dovere di tutto il popolo di Dio, soprattutto dei pastori e dei teologi, con l’aiuto dello Spirito Santo, ascoltare attentamente, discernere e interpretare i vari linguaggi del nostro tempo, e saperli giudicare alla luce della parola di Dio, perché la verità rivelata sia capita sempre più a fondo, sia meglio compresa e possa venir presentata in forma più adatta» (GS 44).

Non possiamo comprendere il messaggio del Vangelo senza questo processo di apprendimento. Si tratta poi di come annunciare il Vangelo in modo tale che possa essere un fermento anche nella nostra società di oggi (cf. GS 44).

Si tratta di non rimanere chiusi in sacrestia e nei nostri ambiti interni, ma di uscire per le strade del mondo.

Non possiamo fermarci a essere una Chiesa autoreferenziale, come ammonisce ripetutamente papa Francesco. Non dobbiamo farci guidare dalla paura dello spirito del tempo, ma dalla fiducia di poter scoprire lo Spirito nel tempo.

Quinto: una Chiesa popolo pellegrinante di Dio

Come Chiesa siamo il popolo di Dio. Siamo pellegrini, non siamo una società perfetta. Lo dice anche papa Francesco nella sua lettera Al popolo di Dio pellegrinante in Germania del 29 giugno 2019 – quando sottolinea che la Chiesa non sarà mai perfetta in questo mondo, ma che «la sua vitalità e la sua bellezza si fondano in quel tesoro che è stata incaricata di custodire fin dall’inizio» (n. 3).

Noi custodiamo questo tesoro in vasi fragili. Con questo tesoro, come i discepoli, siamo in cammino da Gerusalemme a Emmaus, ai margini, insieme, fianco a fianco, in dialogo con il Signore – soprattutto quando lo riconosciamo nei momenti chiave di fragilità.

Sesto: la conversione necessaria

Siamo peccatori. La conversione non è solo un precetto della Quaresima. Però la Quaresima ci ricorda che dobbiamo camminare lungo questa via.

La conversione nella Chiesa è essenziale per garantire che la terribile storia della violenza sessualizzata non si ripeta mai più. Non possiamo celebrare l’eucaristia nella casa di Dio e perdere di vista le vittime della strada che abbiamo percorso.

La storia delle vittime non deve essere spiritualizzata, ma deve trafiggere i nostri cuori. Le persone colpite dalla violenza, a cui è stata chiusa la bocca, devono essere ascoltate. Sono necessarie misure adeguate, controlli e attribuzioni di responsabilità per porre fine alla violenza demoniaca contro gli altri.

Settimo: la necessaria riconciliazione

È necessaria la riconciliazione tra noi vescovi. È necessaria la riconciliazione tra coloro che vivono e agiscono nella Chiesa, la riconciliazione tra le posizioni estreme. È necessaria la riconciliazione nella e con la Chiesa universale.

In Germania sono necessari segni chiari che dimostrino che nessuno vuole uno scisma, nessuno vuole una rottura con Roma.

Abbiamo bisogno di segni che dimostrino che apprezziamo le diverse culture e i diversi modi di fede nella nostra Chiesa. Questa riconciliazione è al servizio di quell’unità a cui Gesù stesso ci ha chiamati quando ha detto ai discepoli nel suo discorso di addio: «Che tutti siano uno» (Gv 17,21).

Ottavo: è necessaria un’ermeneutica della fiducia

È cosa buona e necessaria che i vescovi Georg Bätzing, Michael Gerber, Stephan Ackermann, Peter Kohlgraf, Bertram Meier e Franz-Josef Overbeck continuino i colloqui iniziati con i rappresentanti della Curia a Roma.

Inoltre, vi è anche bisogno di una dialogo approfondito con i paesi vicini per porci la domanda specifica su come possiamo testimoniare e annunciare il Vangelo insieme nello stesso spazio geopolitico.

Ma il dialogo da solo non basta. Gli incontri da soli non bastano. Abbiamo bisogno di una fiducia di fondo. Abbiamo bisogno del calore dei cuori. Ci vuole fiducia, ossia l’accettazione di fondo del fatto che l’altro ha buone intenzioni.

Per questa ermeneutica della fiducia sarebbe opportuno ricordare non solo i testi del Vaticano II, ma anche l’«atmosfera» – anzi, meglio ancora, il suo stile: per questo, durante il Concilio erano stati allestiti due caffè nella basilica di San Pietro, uno chiamato «Abba», l’altro «Giona». Lì si poteva bere un cappuccino in compagnia tra una sessione e l’altra, e certamente c’erano anche dei buoni cantucci.

Chissà quali affinità si scoprivano allora nel gustare insieme le prelibatezze italiane…

Nono: siamo un sinodo mondiale

Molti cattolici sono rimasti sorpresi e si sono rallegrati per l’ampiezza e la profondità dei temi trattati dal Sinodo mondiale. Quasi tutti i temi del Cammino sinodale della Chiesa tedesca si trovano anche sul tavolo del processo sinodale che coinvolge tutta la Chiesa cattolica.

Abbiamo certo bisogno di intese condivise, ma forse in questo Sinodo impareremo tutti di nuovo cosa significhi effettivamente unità. Già sant’Agostino diceva: «Nell’essenziale l’unità, nel dubbio la libertà, in tutto l’amore».

Se siamo tutti la Chiesa, la Chiesa universale, possiamo imparare di nuovo in questo Sinodo quali sono gli elementi essenziali e dove sono invece necessarie forme particolari per una determinata Chiesa locale.

Decimo: rimanere in dialogo

È ora importante riflettere con coloro che sono attivi nella nostra Chiesa locale (i vescovi, il Comitato centrale dei cattolici tedeschi, le donne e gli uomini battezzati che esercitano ministeri di responsabilità nella comunità) su come procedere concretamente nei prossimi mesi.

Si tratterà anche di continuare a praticare la sinodalità, stando accanto ai fedeli con una fiducia di fondo, apprezzando e integrando i loro carismi e ascoltando con cuore aperto come Dio vuole guidarci nel nostro pellegrinaggio nella storia.

Percorriamo questo cammino insieme al santo padre e alla Chiesa universale – in questo mondo, in cui tutti siamo stati posti da Dio.

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