97 anni fa moriva p. Dehon. Ripresentiamo una conferenza di mons. Philippe, successore di Dehon, presentata a Lovanio nel 1938 e pubblicata sulla rivista Dehoniana nel 2014.
Conferenza di mons. Joseph Laurent Phlippe
Trattare della personalità del nostro venerato Fondatore significa affrontare un problema molto complesso, in primo luogo per la vasta comprensione di questa personalità in sé e, in secondo luogo, per l’influenza che ha esercitato sull’opera alla quale ci onoriamo di appartenere.
Una personalità con dei limiti
Oggi, quando parliamo di personalità in riferimento a qualcuno, vorremmo vederla compiuta; vorremmo, nella nostra percezione, apprezzarla nella sua totalità come personalità realizzata, assolutamente perfetta, senza difetti, a prescindere dalle contingenze umane a cui ogni personalità umana è necessariamente soggetta. Ora, solo Cristo e la Vergine Maria erano soggetti compiuti di tal genere.
Se consideriamo il «très bon père», dobbiamo trovare in lui carenze, limiti, non certo dal punto di vista morale, ma dei limiti di potere nella volontà. Se non fosse così, padre Dehon non sarebbe più un uomo, perché ogni natura umana contiene necessariamente delle imperfezioni.
Un altro punto che non dobbiamo perdere di vista è che dobbiamo credere sempre più nella guida lenta, progressiva, ma certa della Provvidenza divina. Questa guida si trova nell’intera personalità.
L’anno scorso, Papa Pio XI diceva in sostanza che prima non sapeva cosa fosse la sofferenza fisica; che ora ha l’esperienza della sofferenza e che quindi ha una migliore comprensione degli stati delle anime in un organismo sofferente.
Nella personalità di padre Dehon, ci fermeremo quindi a considerare la direzione della Provvidenza e la corrispondenza del «très bon père» a questa direzione.
Se prendiamo il «très bon père» nel contesto di una famiglia che si potrebbe definire benestante, all’epoca in cui visse (tramonto della Rivoluzione francese, inizio dell’epoca contemporanea), nulla apparentemente lo preparava al ruolo che la Provvidenza aveva in serbo per lui. Aveva una madre pia, è vero, ma suo padre, senza essere un miscredente e un oppositore della religione, era comunque indifferente. Lo studio della legge, destinato a condurre padre Dehon all’avvocatura, sembrava essere lontano dal suo obiettivo. Intraprese grandi viaggi, arrivando a Roma impregnato delle idee e delle dottrine gallicane insegnate all’Università di Parigi. È a Roma che trova la “Romanità” più raffinata. Partecipò, come segretario scelto tra gli studenti del Seminario francese, al Concilio Vaticano I, nel quale fu dichiarata l’infallibilità pontificia come dogma di fede. Lì padre Dehon ha potuto rendersi conto della grande importanza del Sovrano Pontefice, che si erge come un faro che brilla sul mare agitato del mondo, in preda a tanti sconvolgimenti e rivoluzioni. Era questa stima per il Papa il motivo della sua indefettibile fedeltà al Pontefice, non solo quando definisce ex cathedra un dogma di fede o di morale, ma anche quando parlava attraverso l’organo delle Congregazioni romane nei concistori, con encicliche o decreti. Padre Dehon ha bevuto da questa fonte.
Così plasmato al centro del cattolicesimo, giunse a Saint-Quentin come settimo vicario, in mezzo a confratelli ancora impregnati di idee gallicane sull’infallibilità (estensione eccessiva del campo di applicazione di questa infallibilità, riserve da fare, convenienza, ecc.) L’abbé Dehon si attenne alla dottrina appresa a Roma, a rischio di distinguersi da loro e di attirarsi difficoltà da parte loro.
Se guardiamo alle diverse tappe della vita formativa di padre Dehon, dalla casa di famiglia all’attività apostolica nella diocesi di Soissons, è chiaro che la Provvidenza aveva dei piani precisi per lui.
Ed essa continuò ad assisterlo e a guidarlo in modo ancora più eclatante nella fondazione della Congregazione.
Felix culpa
Anche padre Dehon ha sperimentato la prova più crucifiggente. Ha commesso un errore e la conseguenza del suo errore è stata l’interdizione della sua cara opera alla quale aveva dedicato la sua vita. Ma felix culpa! Padre Dehon, ammirevole nella sua sottomissione, obbedienza e umiltà; umiltà che sa accogliere senza la minima esitazione una sconfessione, anche se riguarda ciò che gli stava più a cuore; un’umiltà sempre pronta a seguire la volontà di Dio espressa dai superiori.
Se prendiamo l’opera così come esiste oggi, non corrisponde più al progetto originale di padre Dehon.
La Provvidenza non mostra mai ad alcun fondatore come l’opera sarà in seguito che sarebbe stato svolto in futuro. E tantomeno il «très bon père» ha antevisto con occhi profetici tutte le fasi e tutte le evoluzioni attraverso le quali la Congregazione appena fondata avrebbe dovuto passare prima di giungere alla sua costituzione definitiva. Gli è succcesso di sbagliare. Ed è proprio attraverso le contraddizioni che l’opera ha preso la sua direzione. Man mano che procedeva, padre Dehon ne vedeva la lenta e continua evoluzione e lo sviluppo verso quest’opera voluta dalla Provvidenza. All’inizio, padre Dehon ha lavorato con il suo vescovo nella diocesi di Soissons. Fondò il collegio Saint Jean, che Monseigneur Thibaudier voleva perpetuare. Per questo motivo gli consigliò di fondare la Congregazione sotto la copertura di questa casa di formazione. Padre Dehon ha trovato il modello per il suo nuovo istituto nelle “Servantes du Cœur de Jésus“.
L’opera missionaria
Pone le basi per un’opera diocesana e non universale.
Quando due eminenti vocazioni si presentano per essere ammesse nella Congregazione, con l’obiettivo di dedicarsi all’attività missionaria che ancora non esisteva, Padre Dehon rispose: “Fin dall’inizio ho pensato alle missioni come uno degli scopi della Congregazione, ma non sapevo come realizzarlo“. Lui, l’uomo sociale, l’uomo dei lavoratori, ha lanciato i suoi figli nel campo delle missioni, perché lo vedeva come lo scopo della Congregazione. Oggi la Congregazione ha quasi abbandonato la questione sociale, perché le missioni hanno prevalso. I colleghi del vescovo Philippe a Parigi, molti dei quali sono diventati vescovi, dicevano che i Sacerdoti del Sacro Cuore erano soprattutto sacerdoti della questione sociale. È stata la Provvidenza a volere il contrario.
È per aprire ai suoi figli spirituali un campo di missioni nel mondo pagano che Padre Dehon intraprese i grandi viaggi in Cina, India e Brasile. Nelle prove che stavano per abbattersi sulla nascente Congregazione e che toccarono così da vicino padre Dehon, la Provvidenza intervenne visibilmente per indirizzarlo sempre più, attraverso le sue prove, verso la meta che desiderava raggiungere. Appena tre anni dopo la sua fondazione (1877-1880), la Congregazione fu, da un decreto della Repubblica, espulsa dai confini della Francia e si stabilì sulle rive della Mosa, in Olanda. Un altro decreto, emesso nel 1904, stabiliva la chiusura di Soissons. La Congregazione, sotto questa guida, si spostò su altri lidi e ampliò così il suo raggio d’azione, assumendo un carattere più universale e internazionale; in una parola, un carattere più cattolico. Questa fu l’origine di altre difficoltà che padre Dehon incontrò da parte di alcuni suoi immediati collaboratori che, a causa delle loro precomprensioni, non lo capivano: volevano un’opera diocesana, un’opera di apostolato all’interno della Francia ed erano quindi contrari all’idea delle missioni in particolare. Da quel momento in poi ci fu un’ombra di scisma, una sorta di cabala contro padre Dehon, da cui derivarono molte defezioni. È stato un grosso errore da parte loro, un errore in cui il nostro Fondatore non è mai stato coinvolto. Sarebbe stata l’eclissi dell’opera che oggi brilla in tutto il mondo.
La Congregazione è costruita su solide fondamenta
Certamente ci sono ancora oggi delle difficoltà. Si sentono ancora riflessioni disfattiste, che a volte creano un’atmosfera di pessimismo.
Che ci siano delle carenze è innegabile. Dimentichiamo, o sembriamo dimenticare, che esiste una Provvidenza che dirige tutto. Non ci piace vederlo, perché non ci piace lasciarci guidare da essa. Questa mentalità, questo spirito comunitario, lo portiamo dentro di noi, senza dubbio in modo inconsapevole, ma efficace. La Congregazione ha sofferto e soffre tuttora di questo spirito. Non dimentichiamo che poggia su basi solide, incrollabili, si potrebbe dire, nella sua spiritualità teologicamente e asceticamente inattaccabile. Questa spiritualità è stata meravigliosamente evidenziata da Sua Santità Pio XI nell’Enciclica sulla riparazione “Miserentissimus Redemptor” (1928). Abbiamo la nostra missione nella Chiesa.
Finora abbiamo parlato solo del ruolo della Provvidenza nella personalità di padre Dehon: come lo ha diretto nella sua prima formazione, nel suo soggiorno a Roma, a Saint-Quentin, nella fondazione della Congregazione, nello sviluppo e nelle tribolazioni che ha attraversato. In che modo padre Dehon ha corrisposto a questa direzione?
Questa corrispondenza può essere riassunta in una parola: sottomissione esterna e interna, perfetta e completa.
Monsignor Philippe, ancora giovane scolastico aveva come direttore spirituale padre Dehon. Un giorno in cui monsignore gli chiese quale risoluzione avrebbe dovuto prendere, padre Dehon gli parlò della stabilità di umore: “Oggi, dopo quarant’anni di esperienza, vedo quali sforzi ci sono da fare, quale eroismo ci vuole per mantenere stabilità di umore. Perché tale era lo scopo dei suoi sforzi nella vita spirituale: rimanere sempre uguale a se stesso nonostante i disconoscimenti, gli insuccessi, i fastidi: metterci una nota di dolcezza, una nota di fiducioso ottimismo, vedere il lato positivo delle cose alla luce della Provvidenza. Questo non tradisce mai. Questa deve essere la nota caratteristica di Sacerdoti del Sacro Cuore. Questo per quanto riguarda l’interiorità.
Stabilire il Regno del Sacro Cuore
Molti pensano che la perfezione consista nel visitare molte case e paesi, nel fare grandi viaggi come ha fatto padre Dehon. Questo non è necessariamente vero. Dehon viaggiò molto, ma ovunque e sempre fu guidato da un unico motivo: stabilire il Regno del Sacro Cuore nelle anime e nella società. L’ampiezza di vedute che lo caratterizzava era certamente dovuta anche alla sua accurata formazione e al contatto con persone illustri: ma queste sono solo le premesse. All’interno, conduceva una vita di studio continuo. La sua intelligenza è sempre all’erta. Se non è fatta per andare in profondità, è comunque molto vasta, coglie bene le cose in tutta la loro estensione, sa sintetizzare. Basta leggere le “Cronache” della rivista “Le Règne du Sacré-Coeur dans les âmes et dans les sociétés” per rendersene conto. Coglieva immediatamente le idee principali che metteva su carta, discerneva immediatamente le idee dominanti che dirigevano i movimenti e le rivoluzioni, e in poche parole ne dava una valutazione. Una preoccupazione lo perseguita costantemente: il Regno di Cristo. In pochi tratti, padre Dehon dipinge magistralmente il quadro scoraggiante di Saint-Quentin, questo microcosmo operaio. Ci sono otto sacerdoti: il parroco e sette vicari. Ogni curato ha sotto la sua custodia un certo numero di fedeli, il cui numero complessivo raggiunge circa un migliaio di individui, che visitano e dai quali ricevono ospitalità… Accanto a costoro, ventimila lavoratori si perdono; non hanno più alcun contatto con Cristo e nessuno si preoccupa di loro. Devono essere conquistati. Il primo ad assumersi questo compito fu il giovane e ultimo vicario Léon Dehon. È un compito sovrumano, eppure lo svolge. Si gettò con tutto il cuore nell’opera di riconquista, fondò giornali, conferenze, ecc. Diffidava di tutte queste anime pie, senza tuttavia rifiutarle. È agli operai, la parte preferita del padrone, che va tutta la sua cura. Questa è l’Azione Cattolica.
La parola “Azione Cattolica” è nuova, ma la realtà, la cosa in sé, è antica quanto il Vangelo, nel quale troviamo già l’Azione Cattolica nel suo pieno significato.
Un uomo dalle grandi idee
Il «très bon père» era un uomo di grandi idee perché portava in sé l’amore di Cristo; un amore che lo avviò gradualmente alla devozione al Sacro Cuore, al cui servizio avrebbe dedicato la sua vita.
È stato accusato più volte di aver avuto troppa fiducia in uomini che non ne erano degni, di essere stato ingannato. In effetti è stato ingannato da alcuni che hanno abusato della sua fiducia. Ha sbagliato a sceglierli come collaboratori. Dovrebbe essere incolpato per questo? No. Padre Dehon, nonostante la sua eminente santità, rimaneva un uomo, e come tale era soggetto a debolezze ed errori, appannaggio degli uomini. Solo i pessimisti e i crumiri non sbagliano, perché non osano intraprendere nulla.
Se padre Dehon ha sbagliato a scegliere l’uno o l’altro, quanti altri, al contrario, non ha attirato nell’orbita della sua personalità. Quanti altri non ha attirato nell’orbita della sua personalità, quanti non ha fatto diventare soggetti d’élite, leader, luci, iniziatori, santi. Il «très bon père» ha mantenuto la sua fiducia nell’uomo; la sua ampiezza di vedute non si è ristretta a causa di alcune defezioni. Dio sa l’angoscia crudele che ha provato quando ha visto il suo lavoro minacciato da questi tradimenti. Anche lui aveva momenti di sconforto: a volte, dopo il saluto, lo si vedeva, con la fronte scura appoggiata sulla mano, che rifletteva su se stesso: soffriva crudelmente per questi tradimenti e per la bassezza umana. Ha sofferto, ma ogni volta si è rialzato in piedi di fronte alla prova; perché era l’ora della Provvidenza, che non abbandona mai coloro che hanno riposto la loro fiducia in essa.
La prova è passata e l’opera oggi esiste, ha mantenuto la sua vitalità perché il suo fondatore le ha dato il soffio vivificante della sua alta personalità; è stata sempre più purificata dal contatto con il Sacro Cuore e l’Eucaristia. Questo è il segreto della sua vitalità, comunicatogli da Padre Dehon.
Non ha mai dimenticato la sua adorazione. Più di una volta, alle 11.30 di sera, dopo una giornata piena di preoccupazioni e di lavoro di ogni genere, si recava in cappella per fare l’adorazione.
Questa ampiezza di vedute non ha mai ceduto il passo alla meschinità che troppo spesso imbruttisce le nostre giornate. Doveva questa ampiezza di vedute non solo alla sua formazione esterna, alla sua attenta educazione, ma anche al fatto che portava la carità dentro di sé. Voleva soprattutto conquistare le anime a Cristo, riconciliare il mondo moderno, e soprattutto il mondo del lavoro, con il Cuore di Gesù, la fornace ardente della carità, gettare il mondo in questa fornace d’amore.
Sta a noi continuare su questa strada, senza perdere nulla dello spirito iniziale con cui è stata fondata l’opera: l’uguaglianza di spirito. Solo così potrà avanzare sulla strada del progresso tracciata dalla Provvidenza.
Lovanio 18 Gennaio 1938.