Lasciando il Vietnam – Intervista a p. Rino Venturin SCJ
P. Rino Venturin, nato nel 1944 in Italia, dopo i suoi voti perpetui e l’ordinazione sacerdotale nel 1969 nella provincia ITS, nel 1974 è inviato come missionario in Argentina. Nel 1988 fa parte del primo gruppo di dehoniani che si preparano alla nuova presenza dehoniana nelle Filippine, progetto che concretamente prende avvio nel 1989. Rimane per più di 20 anni nelle Filippine e copre incarichi come formatore dei postulanti e dal 2003 al 2009 come superiore della regione. Su richiesta del superiore generale nel 2010 va in Vietnam dove una presenza dehoniana si stava sviluppando. Nel mese di agosto di quest’anno (2016) tornerà in Argentina. Il distretto del Vietnam attualmente conta 21 membri, dei quali 14 con voti perpetui.
Andare in Vietnam è stata una scelta tua?
In realtà non è stata una mia scelta. Verso la fine del mio mandato mi chiamò il p. Ornelas. Essendo in quel momento il coordinatore del gruppo che doveva accompagnare la fondazione in Vietnam, insieme ai pp. Sugino, Alex Sapto e Jerry Sheehy mi chiese di sostituire proprio il p. Jerry che lasciava il Vietnam. Il mio lavoro come superiore nelle Filippine era finito; l’obbedienza ha fatto il resto. Infatti stavo bene nelle Filippine, le prospettive di imparare una lingua molto difficile e di andare incontro a molti limiti nel lavoro pastorale non faceva del Vietnam una prospettiva attraente per me. Comunque ho detto di sì.
Come descriveresti la chiesa cattolica in Vietnam?
Direi che è una realtà molto visibile e forte. Pur essendo una minoranza ha un ruolo decisivo nella società. È una chiesa con molta forza. E il governo vietnamita vede ciò e la apprezza. Nonostante momenti di tensione la relazione fra chiesa e governo è sana e fondata sul mutuo rispetto. In generale i cattolici sono orgogliosi della loro fede. Una delle cause principali di ciò è la loro storia, storia di martiri e di un vivere sempre in ambienti difficili. Hanno dovuto lottare per la loro identità. È una chiesa testimoniale. La frequenza alla messa è altissima, anche nei giorni feriali. Direi che la formazione basica dei cattolici è buona. Tutto dev’essere fatto nelle parrocchie. Il contenuto a volte è abbastanza limitato. Molto più sviluppato è l’aspetto devozionale. Pregano molto nelle famiglie, rendono la loro fede visibile con la presenza di altari nelle case cattoliche e le statue dei santi davanti alle facciate delle case. Hanno una vita di preghiera comunitaria molto forte.
E l’impegno sociale della Chiesa in Vietnam?
L’impegno sociale della Chiesa in generale è limitato. Le parrocchie sono per lo più caratterizzate da una pastorale dei sacramenti e delle devozioni. Chiamerei piuttosto ‘episodi di carità’ le campagne che si organizzano nei momenti forti dell’anno, per esempio per portare vestiti nelle Highlands. Più organizzate sono soprattutto le congregazioni religiose che si impegnano nel sociale: lavoro con orfani, handicappati, malati di AIDS. E il governo lo vede e lo apprezza perché i cattolici così coprono un vuoto.
La chiesa ha lottato a lungo per la libertà religiosa. Come stanno le cose nel rapporto fra governo e Chiesa cattolica?
La linea di condotta assunta dalla Conferenza episcopale in accordo con il Vaticano è una linea di dialogo. Si evitano gli scontri, gli attacchi. I vescovi non sono ingenui, sanno che si potrebbe fare di più. Ma hanno sempre privilegiato il dialogo per crescere. E i risultati ci sono. La pace sociale in queste circostanze è un bene per tutti, soprattutto per le minoranze. E infatti c’è tranquillità e stabilità. All’interno di questa realtà puoi muoverti liberamente, anche al livello economico per la proprietà privata. Certo tutto questo all’interno di un piano fissato dal governo.
E la situazione della nostra congregazione in Vietnam?
Noi non siamo riconosciuti dal governo come congregazione. Bisogna tenere presente la storia. Dopo la fine della guerra in Vietnam il governo ha preso il controllo di tutto l’iter educativo, coprendo tutti i gradi di formazione, e anche del settore sanitario. Proprio in questi ambiti la chiesa era fortissima e sviluppatissima, anche con università cattoliche di ottima qualità. Il governo si è quindi impossessato di tutte le scuole e di tutti gli ospedali. Niente di questo è rimasto alla Chiesa. Solo pochi anni fa il governo ha permesso alla chiesa di gestire la pre-scuola/kindergarten. Molte di queste pre-scuole sono ormai in mano alle suore ed esse fanno un ottimo lavoro, tanto da esser ricercate come istituzioni educative dai funzionari del governo. Ma stiamo parlando della pre-scuola, tutto il resto rimane in mano al governo. Adesso c’è una grande novità della quale bisogna ancora conoscere meglio il profilo. Sto parlando di un istituto cattolico; lo chiamano università, ma è piuttosto un istituto superiore che offre corsi postgrade. Per il momento solo in teologia. Ma il fatto stesso che vi sia questa possibilità è significativo.
Quindi sarà anche per noi più facile sviluppare un progetto come distretto scj?
Per essere chiaro: solo ai preti riconosciuti dal governo è permesso avere incarichi ecclesiastici. Devono essere vietnamiti e riconosciuti dallo Stato. Per chi ha avuto una formazione all’estero ed è stato ordinato all’estero le cose si complicano. A volte si devono aspettare anni per il riconoscimento. I nostri confratelli, facendo parte di una congregazione non riconosciuta, in alcuni casi possono ‘inserirsi’ in una diocesi per esser riconosciuti. Ma ci sono segni di una prudente apertura: Per molti anni il numero massimo di seminaristi era fissato dal governo. Questa legge è ormai eliminata. Lo Stato non mette più limiti al numero di seminaristi, col risultato che molti seminari quasi “scoppiano”; vi sono molte richieste per entrare, ma non essendoci posto per tutti molti restano fuori.
Che cosa significa questo per noi in quanto congregazione internazionale?
Una novità è rappresentata dalla possibilità, per le cosiddette nuove congregazioni -quelle entrate in Vietnam dopo la fine della guerra- di poter ottenere il riconoscimento dal governo. E’ questa la procedura che abbiamo avviato: bisogna fornire al governo tutti i dati relativi alla congregazione e ai suoi membri; abbiamo anche trovato l’endorsement dell’arcidiocesi di Saigon, perché questo è necessario. Bisogna sapere come funzionano le cose: dal governo si ottiene sempre una risposta verbale, non formale, su come procede la pratica. Ma sembra che stiamo camminando bene. La richiesta è stata consegnata al distretto, poi è passata al livello della città di Ho-Chi-Minh-City e ora è già stata sottomessa alle autorità di Hanoi – almeno così sembra. Possono passare anche 20 anni fino al riconoscimento, ma ottenendo la fiducia del governo possono anche trovarsi delle scorciatoie importanti per arrivare alla conclusione magari entro cinque anni. Nessuno lo sa. E sembra che finora delle nuove congregazioni siano solo le nostre e quelle dei camilliani le richieste già esaminate nella capitale del Vietnam.
Ci sono esempi di impegno sociale dei dehoniani?
Soprattutto la scuola elementare a Huong Tam per bambini dai 6 agli 11 anni. Bisogna ricordarsi che non esiste una sola scuola privata del genere. Il parroco di Saint Paul, con il quale abbiamo un ottimo rapporto, si era reso conto che in alcune zone della parrocchia soprattutto i bambini di migranti vietnamiti (spesso dal nord verso il sud) non andavano a scuola perché le loro famiglie semplicemente non hanno i soldi per pagare la scuola pubblica. E quindi molti di loro finivano sulla strada. In un primo momento la parrocchia ha messo in piedi non proprio una scuola, ma un centro di alfabetizzazione. I numeri dei bambini presto è aumentato e con il tempo è stato evidente anche alle autorità locali che l’iniziativa rispondeva a un bisogno. Certo non poteva essere una scuola privata, ma alla fine alla scuola pubblica della zona è stato assegnato il ruolo di ente di supervisione per garantire alla nostra gli standard della scuola pubblica. Al termine di ogni anno accademico vengono i loro professori per sottomettere i bambini agli esami finali. Questi poi vengono convalidati dal governo. Quindi non è una scuola riconosciuta, ma tollerata, anzi le autorità locali vengono ogni anno per l’apertura e la chiusura dell’anno scolastico e lasciano qualche assegno come segno di apprezzamento. E’ così che le cose funzionano qui.
Quindi mentre la scuola si sviluppava già al tempo di p. Jerry abbiamo avviato rapporti di collaborazione con la parrocchia, proprio per rendere possibile ai nostri delle esperienze pastorali. E avendo a che fare con un parroco molto aperto ciò è stato possibile. In un raduno di superiori maggiori a Roma si chiedeva ai dehoniani in Vietnam se ci fossero progetti sociali che noi avremmo potuto assumere. Dopo un discernimento con tutti i confratelli ne abbiamo individuato tre: La scuola a Huong Tam, il progetto “Clean water”, per rendere potabile le acque (un progetto sempre della parrocchia St. Paul) e poi la Fraternité Apostolique, un’iniziativa del p. Vincent Nguyen, un tipo di residenza universitaria cattolica. Per questi progetti abbiamo chiesto aiuti per un periodo di tempo pari ai tre anni. Prima si trattava solo di appoggio economico. Poi il parroco ci ha chiesto di assumerci noi la responsabilità della scuola. E così, nel 2015, il nostro confratello p. Thai Tran Duc è diventato il direttore della scuola. Organizza le riunioni con i professori, con i genitori e si interessa dei problemi dei ragazzi. Comunque rimane ufficialmente un’opera della parrocchia con il nostro impegno personale ed economico.
Che senso ha la presenza dehoniana in Vietnam e nella Chiesa vietnamita, dove le vocazioni sacerdotali non mancano?
Penso che si tratti di individuare la dimensione missionaria adatta alla nostra congregazione. Anche qui ci sono zone o parrocchie che attirano di più e altre che attirano di meno e dove c’è mancanza di clero. Bisognerebbe entrare in dialogo con i vescovi per vedere insieme a loro dove un’assenza di infrastruttura religiosa possa rappresentare una chiamata per noi. Qui a Saigon, per esempio, sembra che l’arcivescovo pensi proprio di creare in questo senso centri missionari. Sarebbe un’opportunità per noi per sviluppare nuove presenze di chiesa in città. Un’altra possibilità potrebbe essere la missione nelle cosiddette Highlands, cioè zone delle montagne poco accessibili, dove vivono popolazioni tribali. Per quanto riguarda le nostre specifiche attività bisogna sempre fare i conti con la particolarità della nostra situazione in Vietnam. È necessario conoscere prima le realtà concrete e poi elaborare un piano, mai il contrario, tanto più che per gli stranieri le possibilità pastorali saranno sempre limitate. Sono tre i settori che secondo me potrebbero essere validi per noi:
- Prospettive di una pastorale missionaria secondo quanto detto prima;
- Opere sociali che coprono un vuoto nel tessuto della società vietnamita;
- Missio ad gentes: l’abbondanza di vocazioni deve spingerci ad andare oltre il Vietnam. Il primo passo lo facciamo con l’invio di p. Phu Vu Vanh a Taiwan.
Quali sono quindi gli elementi della presenza dehoniana che più rispondono ad una necessità evangelica?
Per me l’adorazione è un elemento specifico dehoniano che trova un’eco molto feconda nella cultura vietnamita. Quella contemplativa è infatti una dimensione molto vissuta qui fra i cristiani. Un secondo elemento sarebbe la dimensione internazionale della nostra Congregazione. A volte si nota il rischio di chiudersi al solo contesto vietnamita; ciò dipende dalla storia nazionale del Vietnam e dalla difficolta della lingua. Venire qui è difficile, invece sarebbe molto più facile per loro andare altrove, per partecipare a questa dimensione internazionale della nostra vita religiosa ed evitare l’isolamento. Il terzo elemento per una presenza specifica dehoniana sarebbe la dimensione sociale. La Chiesa come tale non è tanto presente in questo settore. È un campo, ne sono convinto, dove la dehonianità avrebbe una parola da dire, e sarebbe una parola benvenuta. Ma prima bisogna consolidare la nostra presenza qui. A tal proposito, per il nuovo anno scolastico, sono previste iniziative che vanno in questa direzione come le visite nelle Highlands insieme ai nostri seminaristi.
Ora che vai via qual è la sfida per il distretto?
Quando una realtà è ancora fragile è importante proteggere le priorità di fondo. Per me si tratta soprattutto di prendersi cura della coesione del gruppo, mi sembra fondamentale. Abbiamo strumenti a disposizione per questo, riunioni mensili e altre attività. Tocca ora anche al nuovo direttivo del distretto trovare modi per favorire questa coesione. Poi, particolarmente per un realtà di Chiesa com’è quella del Vietnam in cui vi è un grande rispetto per l’autorità del sacerdote, dobbiamo ricorrere al nostro modo di vivere l’autorità da religiosi. Per noi l’autorità è un servizio, non un potere. Un altro elemento che richiama l’attenzione è la comunione tra i membri anche al livello dei beni materiali. La mia esperienza e convinzione mi dice che una disuguaglianza nell’accesso ai soldi è assolutamente da evitare. Le possibilità finanziarie devono essere assolutamente le stesse per tutti. Bisogna categoricamente evitare che si cerchi individualmente denaro per i propri progetti. Per questo abbiamo la regola – come in tutte le entità – che, al di là di una certa somma, le spese devono esser approvate dal distretto.
Come è stato il tuo soggiorno in Vietnam, soprattutto in una Chiesa forte com’è quella vietnamita non conoscendo tu la lingua?
Certo ho vissuto questo tempo in Vietnam “col freno a mano tirato”. Ma qualcuno doveva farlo. Ora sento che il mio ciclo si sta esaurendo. Quello che potevo offrire l’ho offerto. Tocca alla prossima generazione, ai vietnamiti stessi individuare, definire e realizzare le loro priorità, il loro modo di essere religiosi dehoniani in Vietnam.
Dopo questa esperienza, secondo te, quali sono gli elementi peculiari di un’attività missionaria dehoniana?
Già l’ho detto e ne sono convinto: La comunione dei beni e dei progetti: lo considero fondamentale. Poi un’attenzione al sociale coerente col contesto. Il resto verrà.