Le due Afriche
Una nuova collaborazione è nata tra SettimanaNews e la rivista africana J’écris, je crie – nella cui redazione sono presenti anche dei confratelli dehoniani, che ne hanno ispirato la nascita. Una sinergia culturale e di informazione suggerita con convinzione dal superiore generale della Congregazione, p. Carlos Suarez.
Da qualche mese è iniziata la collaborazione tra SettimanaNews e la rivista africana J’écris, je crie – nella cui redazione sono presenti anche dei confratelli dehoniani, che ne hanno ispirato la nascita. Una sinergia culturale e di informazione suggerita con convinzione dal superiore generale della Congregazione, p. Carlos Suarez.
In poco tempo siamo passati da un lavoro di traduzione e pubblicazione in italiano degli articoli della rivista africana a una vera e propria sinergia con articoli scritti ad hoc per SettimanaNews da redattori e redattrici di J’écris, je crie su temi che riguardano il Congo, in specifico, e più generalmente l’Africa.
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Questo contributo ha permesso a noi, e ai nostri lettori/lettrici, di accedere a una lettura interna delle vicende del continente africano. Una lettura non occidentale e, quindi, non coloniale. Lettura a cui, probabilmente, siamo ancora poco abituati – anche perché la vediamo priva di quegli elementi che a noi sembrano decisivi per comprendere e interpretare questo continente, che continuiamo sovente a pensare come essere in nostro possesso.
Eppure, proprio qui sta il valore e il significato di questo apporto africano al lavoro informativo di SettimanaNews: dice e pensa in modo altro dal nostro. La tentazione di aggiungere qualcosa che noi riteniamo mancante è sempre molto forte, accovacciata proprio lì accanto a noi: aggiungere quello che noi riteniamo essere necessario per comprendere l’Africa (il non detto è che possiamo farlo meglio degli africani stessi). Si fa molta fatica a uscire da una mentalità coloniale, di occupazione non solo delle terre ma anche del pensiero.
Mentalità che cela un giudizio: quello di considerare i popoli africani sostanzialmente come popoli minori, ancora bisognosi della nostra tutela paterna – e del nostro dominio.
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Cosa manca, dal nostro punto di vista occidentale, alla preziosa interpretazione e informazione che ci viene dai colleghi e dalle colleghe di J’écris, je crie? Dove «preziosa» rischia di diventare un eufemismo, una benevolenza paternalista di chi presuppone di sapere sempre meglio di coloro che abbiamo soggiogato per secoli.
Manca la geopolitica, i grandi interessi (coloniali) dell’Occidente e dell’Oriente che si spartiscono, ancora una volta, la ricchezza materiale del continente africano. Occupandolo in silenzio con basi militari, mercenari, corruzione politica, sfruttamento dei popoli, creazione di povertà in terre ben più ricche delle nostre.
E a questo sovrapponiamo una lettura delle culture africane, dell’organizzazione di vita fra gruppi sociali, parziale e incompleta. Corpi sociali diventano tribù che impedirebbero qualsiasi avanzata della democrazia in Africa. Tradizioni e costumi, che noi abbiamo interrotto e massacrato, farebbero altrettanto – impendendo il diffondersi dei diritti umani più basilari e fondamentali.
Certo, l’Africa non è il paradiso in terra – e questa lettura occidentale non è quindi del tutto priva di una sua verità. Ma, per onestà intellettuale, dobbiamo chiederci perché questo gruppo di persone che collabora con noi non ricorre a queste chiavi di lettura così importanti per noi?
Non perché sono sprovvedute, non perché manchino di informazioni, non perché siano ingenue. Quello che manca nello scrivere africano sull’Africa deve diventare per noi occidentali una chiave di lettura a cui non si può rinunciare se si vuole comprendere questo continente.
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Quello che manca, negli articoli che gentilmente e con serietà professionale la redazione di J’écris, je crie ci manda, è la ricerca di una giustificazione esterna quale ragione dei mali e delle vicende turbolente del loro continente. E questa deve essere vista come un’affermazione di indipendenza – culturale, civile e politica. È un gesto di resistenza alla lettura occidentale dell’Africa – che alla fin fine, ancora oggi, dice pressappoco così: senza di noi, voi non potete.
Quello che per noi manca nella lettura africana dell’Africa rappresenta, per questa, una definitiva rinuncia al vittimismo giustificativo e l’assunzione di responsabilità per il destino del loro continente. Basta appendersi a cause esterne, cerchiamo dentro di noi i limiti e gli errori che impediscono la rinascita di un’Africa pienamente africana.
Rifiutarsi di essere vittime di forze esterne, di interessi geopolitici ed economici, significa prendere in mano la propria storia, voler essere autori del proprio futuro, congedarsi da parte africana dal quel colonialismo che l’Occidente continua a imporre al continente.
Dire la verità senza cercare giustificazioni è gesto pericoloso, può costare la vita da quelle parti. E questo va onorato e riconosciuto. Per questo siamo grati a questa collaborazione che ci è stata resa possibile dalla rivista africana J’écris, je crie.
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