In questa santa vigilia di Natale viene nuovamente proclamata la narrazione della nascita del Figlio di Dio nella grotta di Betlemme. Forse perché abbiamo ascoltato questo passo del Vangelo così tante volte, non possiamo più dargli l’attenzione che merita. Tuttavia, Luca, scrivendo questa pagina, non ha voluto solo raccontare un evento del passato, ma invita il suo lettore a fare un vero cammino di incontro con il Signore, che si lascia trovare nella sua Parola e nell’Eucaristia.
Prima di tutto, questo evento straordinario si trova nella storia: “In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra…“. È nella storia dell’umanità, con le sue vicissitudini, che Dio si rivela e agisce. Perché la storia è il luogo dove si può conoscere ciò che la forza creativa della sua Parola realizza. Maria e Giuseppe, inseriti in questa storia, sono diventati strumenti di Dio perché il suo piano di salvezza si realizzasse. Il viaggio che questa coppia è obbligata a compiere per le esigenze dell’Imperatore (dalla Galilea alla Giudea) sarà poi ripreso dal Figlio come itinerario della sua missione, perché è da Nazareth che inizia l’annuncio del Vangelo della salvezza, che culmina in Giudea, a Gerusalemme, con la sua morte e risurrezione. È il modo di intendere la Parola come manifestazione della volontà di Dio.
Certamente il decreto dell’Imperatore non era una buona notizia per il popolo, in quanto era più uno strumento di dominio delle popolazioni sottomesse all’Impero Romano, per garantire un controllo più dettagliato del popolo e di ciò che possedeva, facendo pesare loro tasse elevate. In quella che potrebbe sembrare solo obbedienza al decreto dell’imperatore, Maria e Giuseppe consolidarono la loro obbedienza a Dio, per il quale nulla è impossibile. Nonostante il condizionamento della storia, che spesso rende difficile riconoscere l’azione di Dio, nulla può impedire il compimento della sua volontà: “I giorni del parto sono finiti e Maria ha dato alla luce il suo primogenito”. Gesù, essendo della progenie di Davide, nasce a Betlemme come segno che le attese messianiche si realizzeranno in lui, è il vero figlio di Davide, il Buon Pastore del popolo di Dio. In Gesù, due atteggiamenti del pastore si realizzano pienamente: proteggere e nutrire le pecore.
Maria, la profetessa per eccellenza del Nuovo Testamento, nel dare alla luce il suo primogenito, il Re-pastore, compie due gesti che saranno il primo annuncio, cioè il protoevangelo concreto di suo Figlio: “Lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia”. Come i grandi maestri della Patristica (per esempio Origene) hanno intuito nel bambino avvolto in fasce, si riconosce che Egli è il Verbo eterno del Padre che nell’Antico Testamento era avvolto nella Scrittura (fasce), ma che ora, avendo assunto la carne umana, l’ha pienamente rivelata; posto al posto del cibo, la mangiatoia, questo re-pastoro nutre le sue pecore con la propria vita.
I gesti di Maria, più che la semplice cura materna per il suo bambino, sono una vera profezia, è il Vangelo stesso come causa di grande gioia per tutto il popolo: “Vi annuncio (greco: euangelidzomai, evangelizo) una grande gioia, che sarà per tutto il popolo”.
Prima ancora che l’Angelo del Signore faccia questo annuncio gioioso, abbiamo il servizio della madre al Figlio, queste sono le prime azioni di Maria verso il suo bambino appena nato. Quindi, alla radice della buona notizia c’è il servizio della vita, come la madre ha fatto per il figlio. Tutta la missione di Gesù, secondo il Vangelo di Luca, sarà la realizzazione di ciò che Maria ha fatto la notte di Natale. Queste due realtà inseparabili per trovare e riconoscere il Salvatore (Parola ed Eucaristia) sono date dall’angelo come segno ai pastori: “Questo sarà per voi un segno: troverete un neonato avvolto in fasce e disteso in una mangiatoia“. È vero che la madre annuncia che suo Figlio è la Parola che nell’Antico Testamento era avvolta nelle Scritture, ma è solo il Figlio che ha il potere di svelarle affinché i suoi discepoli possano comprendere ciò che queste Scritture vogliono comunicare (Lc 24,27.32).
La madre, reclinata nella mangiatoia, profetizza che egli è cibo, ma è solo lui che, nel consegnare il suo corpo e il suo sangue alla sua Pasqua, fa questo annuncio natalizio. La madre, che ha avvolto il suo neonato in fasce proclamando una profezia, sarà in seguito testimone del compimento di questa profezia vedendolo avvolto in fasce dopo essere stato preso dalla croce (Lc 24,53). La madre che lo reclina nella mangiatoia subito dopo che è uscito dal grembo materno lo vedrà depositato nel grembo della terra. Maria è un profeta in senso pieno, perché non solo annuncia, ma testimonia il compimento di quanto annunciato.
Celebrare il Natale del Signore significa riconoscere che nessun decreto umano che imponga un giogo di schiavitù è più forte della Buona Novella: “Un Salvatore è nato per voi”. Il Natale deve rinnovare in noi la certezza che è possibile superare la paura di fronte a tante situazioni di morte, di ingiustizia, di peccato, perché deve sempre risuonare l’annuncio dei messaggeri del cielo: “Non abbiate paura“. Ma anche, il Natale è il momento di lasciare il nostro comodo terreno per andare a Betlemme, dove riconosceremo che non siamo soli, lì troveremo il neonato, così fragile, ma mentre ascoltiamo la sua Parola e ci nutriamo del suo corpo e del suo sangue, saremo certamente rinvigoriti non solo per cantare stasera: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli“, ma anche per costruire già qui sulla terra il suo progetto di pace e di fratellanza, affinché ci sia “Shalom sulla terra agli uomini da lui amati“.