Lo spostarsi di persone, crea dei contatti tra culture diverse, crea dei “non luoghi”, che comunque sono abitati, ma da chi? E cosa succede in questi “non luoghi”? Dei luoghi di mezzo, delle frontiere, dove non si è né dentro, né fuori, e contemporaneamente si è paradossalmente dentro e fuori.
È partendo da questi interrogativi e dalle problematiche che ne scaturiscono, che P. Léopold Mfouakouet scj, nel suo libro – Malaise interculturel: Que peut la philosophie? (Disagio interculturale: Cosa può [fare] la filosofia?), 105 pagine, edito da Editions Universitaires Européennes – si propone di affrontare il tema del disagio interculturale. L’autore si chiede se è lecito pensare a un mondo comune, prendendo in considerazione i conflitti identitari, e interpretando quest’ultimi in termini di disagio interculturale. Interroga il diventare interculturale della psicologia sociale, i suoi limiti, quelli delle teorie multiculturali, e la posta in gioco nel passaggio dall’acculturazione all’interculturalità, e nell’oblio, da parte di alcune teologie dell’inculturazione, della svolta interculturale.
Oltre questa problematica che tocca all’interdisciplinarità, l’autore pratica una filosofia istruita dal terreno, dove la questione è: cosa c’è tra le culture? Non bisogna dimenticare che in questi spostamenti, ad entrare in contatto non sono primariamente le culture, ma le persone, radicate nelle loro reti storiche e relazionali.
Forse bisogna tenere conto anche di un aspetto spesso preso poco in considerazione che negli ultimi anni ha influito molto: il clima. E proprio i cambiamenti climatici potrebbero essere tra i responsabili degli spostamenti migratori che sono attualmente in atto che aumenteranno man mano che il clima continuerà a cambiare.
Nel libro vengono usate alcune metafore che servono per introdurre il pensiero del “mondo comune”. Tra queste, si fa riferimento a una barca, che riporta alla memoria l’Arca di Noè, ma che oggi si identifica con le barche che trasportano migranti, esseri umani, con tutte le conseguenze drammatiche che ne derivano e sono a conoscenza di tutti. Ma se questa società è diventata come una barca che naviga nella tempesta per portare in salvo l’umanità, è lecito che i marinai continuino a litigare fra loro, soprattutto quando questa “barca” sta per affondare e non ci sono scialuppe di salvataggio che permettano di abbandonarla?
È un lavoro interessante, che merita di essere letto, sia da parte di chi si occupa di questi temi, ma anche solo per chi vuole semplicemente approfondirli, per cercare di coglierne gli aspetti più diversi, che possono aiutare a comprendere meglio le varie sfaccettature che il fenomeno presenta.