12 luglio 2021
12 lug 2021

Riaggiornare il “patto di amore” di p. Dehon

In occasione della fondazione della Congregazione (28 giugno) è stato pubblicato in diverse lingue il ´Patto di amore´ di p. Dehon. Ad eccezione dell’originale, scompare la parola ‘oblati’. Le perplessità e osservazioni del direttore del Centro Studi dehoniani sono uno stimolo per intraprendere un adeguato aggiornamento. Una sfida linguistica, culturale e spirituale.

di  Stefan Tertünte scj

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Con grande piacere ho visto che in occasione della ricorrenza della fondazione della Congregazione (28 giugno) fra il materiale proposto si trovava anche il ‘patto d’amore’. Quel piccolo documento trovato tra i vestiti di Dehon nel momento della sua morte e che per la maggior parte degli autori risale ai primi anni della fondazione della Congregazione. Si tratta di un piccolo tesoro, un vademecum in cui Dehon ha messo varie intenzioni alle quali voleva essere fedele lungo la sua vita.

Leggendo però le diverse traduzioni mi sono reso conto che tutte le lingue – tranne l’originale francese – hanno sostituito l’espressione “l’œuvre des Oblats de votre Cœur”, “l’opera degli Oblati del Vostro Cuore”, con altre parole: “opera dei Sacerdoti del tuo Cuore” o addirittura in inglese “Congregazione dei Sacerdoti del tuo Cuore”.

Sono rimasto perplesso e condivido con i lettori alcune brevi osservazioni:

La situazione documentaria è abbastanza chiara.  Consultando il manoscritto, Dehon parla chiaramente dell’opera degli Oblati.

Sappiamo quanto caro e importante fosse per Dehon la possibilità di poter usare la parola ‘Oblati’ nel nome della Congregazione. Anche dopo lo scioglimento della fondazione nel 1883 e dopo il nuovo inizio, nonostante i ripetuti pareri chiarificatori da parte del Sant’Ufficio, Dehon tentò a più riprese e invano di riprendere il vecchio nome. Semplicemente perché per lui essere ‘Oblati’ era una questione di identità.

Suppongo che la traduzione ufficiale del testo originale sia datata e non più aggiornata. Forse, ma questo è una ipotesi personale, le traduzioni sono state fatte in un periodo storico in cui la parola ‘oblazione’ creava difficoltà e disagio anche fra i dehoniani. Mi ricordo un confratello della mia generazione che mi ripeteva come sarebbe stato impossibile usare la parola ‘oblazione’ ai nostri giorni. E non ignoro come sia realmente difficile trovare un’adeguata traduzione aggiornata.

Le nostre Costituzioni rispetto ad altri termini e concetti hanno fatto un lavoro di revisione e aggiornamento delle nostre tradizioni, ma nel caso del termine “oblazione” non si è alterato il suo significato. Il no. 26 ci invita “a ricercare e a condurre una vita di unione all’oblazione di Cristo, come l’unica cosa necessaria”. Appunto: unirci a un certo modo di vivere, di amare, di consegnarsi che trova la sua icona dehoniana nel costato aperto di Cristo – a questo e di più rinvia la parola ‘oblazione’. Ciò significa affermare che all’interno delle Costituzioni il termine “oblazione” è parte costitutiva del nostro patrimonio carismatico.

Oggi, – questa è il mio augurio – abbiamo l’opportunità di riscoprire ciò che fa parte del nucleo carismatico dehoniano e che viene espresso con la parola ‘oblazione’. Le nuove generazioni di dehoniani forse non hanno quelle difficoltà linguistiche che invece erano presenti nella generazione postconciliare.

Ma la vera sfida è se oltre l’uso della parola siamo oggi in grado di comprendere e di dire con parole nuove – anche con parole note – ciò che è un pilastro della nostra identità carismatica.

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