Meditazioni di p. Dehon sulla passione di Gesù
Dopo l’istituzione dell’Eucaristia e il magnifico discorso conservato per noi da San Giovanni, il Salvatore prese la strada dal Cenacolo al Getsemani. Fu allora che la tristezza cominciò a invadere la sua anima: cœpit contristari, che la tristezza e la paura più intensa vennero a desolarlo: cœpit mæstus esse. Tutte le sue sofferenze e tutte le loro cause morali gli si presentarono in una sola volta, e l’impressione che provò fu così vivida che non poté fare a meno di emettere questo doloroso lamento: “L’anima mia è triste fino alla morte” [Mt 26, 38].
Questo Cuore divino desiderava amarci fino al punto di soffrire tutte le angosce legate alla tristezza, alla paura e alla noia, per preservarci da esse. Ha sperimentato gli effetti delle angosce affinché non fossimo preoccupati e potessimo praticare il suo precetto: “Possederete le vostre anime nella pazienza”. La Sua volontà è che camminiamo come San Pietro sulle acque della tristezza, senza essere sommersi.
Oh, che cuore tenero! Ha voluto bere fino alla feccia questo calice, forse il più doloroso di tutti, per risparmiarci o addolcirlo per noi. Quale amore compassionevole e quale infinita gratitudine gli dobbiamo?
(P. Dehon, I misteri d’Amore II, 1905)