05 settembre 2022
05 set 2022

Una fraternità nata nel segno della provvidenza e che vive la riparazione dehoniana

I dehoniani in Italia, hanno aperto presso Bologna una fraternità che è una convivenza di varie vocazioni. Non si identifica in un’opera, ma in uno stile di vita. E tuttavia ci caratterizza per l’impegno nel sociale, soprattutto nel mondo del carcere. Un modo concreto di vivere il carisma della riparazione.

di  Marcello Mattè, scj

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Quella che oggi si chiama “Fraternità Tuscolano 99” è una convivenza di vocazioni diverse, che ha cominciato a formarsi ormai dieci anni fa attorno a un progetto di accoglienza.

L’idea è una fratellanza amicale e ospitale e, dove è possibile, un’esperienza di fede.

Accoglienza è la parola-chiave di questo progetto: una casa dove gli ospiti si sentono a casa loro.

Su questa idea si è sovrapposta un’ispirazione: l’ospite principale e costante poteva essere Dio. Questo pensiero ci si è imposto, poi abbiamo dovuto parlare e pregare per capirlo. Creare un clima tale da far sentire a Dio che con noi non avrebbe dovuto sopportare una maschera sul suo viso.

P. Enzo Franchini ha accompagnato, con le sue straordinarie intuizioni spirituali, il cammino della Fraternità fin dagli inizi. Abbiamo condiviso la sua convinzione che questa Chiesa debba cominciare un’altra storia. Sentiamo la vocazione a essere una scintilla di nuova Chiesa non gerarchica e molto amalgamante di persone diverse anche per indirizzo spirituale, visione della fede ed esperienza di Dio.

Una Fraternità nel segno della Provvidenza

Si rafforzava in noi la convinzione che stavamo formando un gruppo nel segno della Provvidenza.

Passando il tempo si faceva urgente la necessità di arrivare a una convivenza che abbiamo cominciato a chiamare Fraternità.

La ricerca di una casa è stata lunga, costellata di delusioni e nuove opportunità. Vicende che hanno coinvolto Curia, parrocchie, e organi direttivi dehoniani e missionari. Siamo convinti che la Provvidenza ci abbia accompagnato passo passo, perché là dove si chiudeva – traumaticamente – una prospettiva sulla quale avevamo investito, se ne apriva una migliore.

Col senno di poi è stata tutta Provvidenza perché la Fraternità ha avuto il tempo di costruire meglio la propria identità, fissando bene la decisione di non porsi come un’opera fondativa.

Siamo così “atterrati” al complesso agricolo messo a disposizione dalla Parrocchia dei santi Savino e Silvestro di Corticella (Bologna), la quale, con una generosità più unica che rara, ha fatto dono della proprietà e ha pagato quasi per intero le spese di ricostruzione. L’abbiamo chiamata Casa Don Giuseppe Nozzi, in memoria di uno dei parroci di Corticella, ricordato con affetto e riconoscenza dalla comunità parrocchiale per la sua semplicità accogliente e per essere stato un “grande della carità”.

La preghiera in comune ci è particolarmente cara. Ci diamo appuntamento quotidiano per l’adorazione e la liturgia delle ore.

Attualmente, l’eucaristia dei giorni feriali la celebriamo nella vicina Casa della Carità, insieme agli ospiti (disabili), alle sorelle carmelitane e ai volontari.

Fraternità non comunità religiosa

Noi non ci consideriamo una primizia. Esistono, e le abbiamo guardate, altre esperienze di vita insieme somiglianti alla nostra.

La nostra convivenza non è codificata in strutture prefissate, non comprende voti né gerarchie, che sono strutture portanti delle comunità religiose.

La nostra è una fraternità perché risponde a queste caratteristiche:

  • a) rapporti paritari tra tutti gli appartenenti;
  • b) appartenenza slegata da formule;
  • c) diversi modi e intensità di adesione;
  • d) accento non sul ruolo ma sulla responsabilità.

È importante anche ricordare che ci consideriamo in aperta e continua evoluzione.

Vocazione all’accoglienza di noi stessi, di Dio, degli altri

Accogliere è per noi atteggiamento del cuore e programma di vita, che dà sostanza sacramentale alla vita personale e comunitaria.

Si esprime anzitutto verso Dio per mantenere una viva comunione fraterna nella quale lui possa sentirsi bene, tra amici.

Si esprime verso noi stessi: sapendoci accolti da Dio ci abbandoniamo a lui come siamo; coniugando i nostri desideri con la sua grazia nella fiducia reciproca.

Si esprime verso gli altri sia dentro la fraternità, sia verso chiunque se ne trovi a contatto. Nella certezza che la reciproca accoglienza genera vita buona e ripara il male profondo della solitudine, male temuto da Dio stesso.

Mettiamo insieme soggetti pubblici diversi (religiosi, consacrati, famiglie, singoli operatori sociali…) non per unire le forze ma proprio per condividerci e perché ognuno abbia in dono i carismi degli altri. La paritarietà deriva dalla convinzione che ognuno è completo in quello che dà e riceve.

Vocazione a essere un frammento di Chiesa nascente, familiare, libera

La fraternità si inserisce nella vita del territorio e della Chiesa locale. Collabora con tutti gli organismi esistenti che promuovono formazione, inclusione, solidarietà.

Partecipa attivamente alla missione della Chiesa locale. Pur escludendo di assumere la titolarità della parrocchia, collabora alle attività di evangelizzazione e pastorale.

Sogniamo una Chiesa che faccia crescere liberamente semi nuovi.

Proviamo a mettere in circolo energie positive di fede viva.

Siamo dentro la Chiesa criticamente ma con tutto l’amore che sentiamo per il Corpo di Gesù.

Non fondiamo un’opera

Ci proponiamo una convivenza non per dare vita a un’opera, né a un servizio pastorale specialistico, ma per vivere un’esperienza di comunione e fratellanza che non si lasci corrompere da inevitabili conflitti caratteriali. Perché crediamo che la comunione tra noi possa fondarsi nel Corpo Mistico dove la comunicazione attraversa Gesù stesso.

La casa di accoglienza per persone detenute

Nel complesso della Casa Don Giuseppe Nozzi, due dei cinque edifici sono destinati alla Casa Corticella, che ospita un’iniziativa a favore delle persone detenute.

È stata affidata dall’Arcidiocesi di Bologna alla gestione del CEIS. Con la collaborazione del cappellano del carcere – p. Marcello Matté, dehoniano – può ospitare fino a otto persone sottoposte ad esecuzione penale. Per loro e con loro si costruisce un progetto di autonomia (cioè casa e lavoro), offerto come opportunità di futuro da “buon cittadino”.

Attualmente, il sistema dei servizi sociali non si fa carico delle persone con un passato di detenzione, e questo significa essere abbandonate a se stesse e trovarsi in percentuale insopportabile (statisticamente il 70%) incentivati a delinquere di nuovo.

Il carcere, così com’è organizzato in Italia, non aiuta il reinserimento. Non è vero che il carcere produca più sicurezza, nonostante la “mitologia” alimentata da interessi elettorali.

Benché l’accompagnamento di queste persone negli ultimi mesi dell’esecuzione penale prometta di fatto un abbassamento sostanziale della “recidiva” (ritorno al crimine), i servizi sociali non vi destinano alcuna risorsa.

Al momento, perciò il progetto di accoglienza della Casa Corticella, come di altre comunità di accoglienza, resta totalmente a carico dei promotori e conduttori.

Per questo, è parte integrante del progetto anche l’azione di sensibilizzazione civile e sollecitazione politica volte a “mettere a sistema” dei servizi sociali il reinserimento delle persone segnate da un passato di delinquenza.

Per noi è un’espressione solida di riparazione, personale e sociale, e di intelligenza politica.

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