I dehoniani del Nord Italia sono stati coinvolti in un capitolo provinciale straordinario, sotto vari punti di vista: nel metodo, nel coinvolgimento di tutti, nel processo decisionale. Un equipe delegata dal governo provinciale ha incontrato il 90% dei confratelli. A Colloquio con p. Franco Inversini, coordinatore dell’equipe.
Franco ci vuoi spiegare il metodo di lavoro e le tappe che avete adottato per il vostro capitolo provinciale straordinario ?
Il Capitolo provinciale è straordinario solo perché l’ordinario è stato anticipato e a molti premeva riflettere sullo stato della nostra Provincia.
In vista della celebrazione del Capitolo, il p. Provinciale ha costuito un gruppo di 5 persone (GR5): p. Enzo Brena, provinciale, p. Oliviero Cattani, p. Antonio Viola, P. Marco Mazzotti e il sottoscritto. Fin dal primo incontro abbiamo ritenuto opportuno farci accompagnare da persone non dehoniane, sia per avere una lettura dall’esterno, più distaccata rispetto a noi, sia per un accompagnamento metodologico. La scelta è caduta su una coppia di Loppiano (Focolarini) che già avevano accompagnato altri istituti religiosi al loro capitolo.
Fin dai primi incontri ci siamo detti che il Capitolo è già cominciato e il Capitolo siamo noi, ognuno è protagonista. Se ognuno è protagonista, la sua parola vale e ha lo stesso peso delle altre. Da qui le conseguenze. Non potendo celebrare un Capitolo assembleare che vedesse la partecipazione di tutti per motivi giuridici, logistici, di garanzia della continuità delle varie attività, abbiamo pensato a come coinvolgere tutti i confratelli della Provincia. I tentativi passati non ci convincevano anche perché molti non si erano sentiti coinvolti e protagonisti. Da qui l’idea di recarci noi nelle varie comunità; non solo, ma di andare da tutti confratelli, anche quelli ascritti e che vivono da soli. La scelta dei «visitatori» è stata quasi obbligata: escluso il p. Provinciale per ovvi motivi, e p. Oliviero ex-provinciale, siamo rimasti noi tre senza alcun incarico ufficiale in provincia. Oltretutto rappresentavamo tutte le età. L’impegno era pesante, ma l’abbiamo affrontato con entusiasmo e gioia.
Qualcuno poi ci ha chiamato i Magi anche perché ad ogni visita ognuno di noi portava un dono: p. Marco da Modena dell’ottimo Parmigiano, p. Antonio da Trento un vino DOC o DOP, ed io una bottiglia di «Fiordibosco», un liquore prodotto dal Santuario di Boccadirio. Personalmente non conoscevo molto Antonio e Marco perché, oltre all’età, avevamo percorsi, scelte e comunità diverse. L’affiatamento è stato spontaneo fin dall’inizio. Da novembre a febbraio abbiamo percorso gran parte dell’Italia spingendoci fino in Germania. Tutti i confratelli hanno avuto modo di far sentire la loro voce. A nostra volta, a turno, mettevamo a verbale gli interventi.
A metà percorso era in programma una verifica per una prima valutazione ed eventuali correzioni. Visti i risulta e la partecipazione non vi sono state note particolari e si è ripreso a viaggiare. Cammina che cammina siamo arriva al termine proprio poco prima che venisse tutto bloccato dal Covid19. Tutto il materiale è stato consegnato al gruppo di coordinamento (GR5). Il risultato finale è stato verificato dal GR5 e successivamente presentato al Consiglio provinciale in teleconferenza, causa le restrizioni del Coronavirus. La nostra sintesi e quanto suggerito dal Consiglio Provinciale è stato raccolto come documento da inviare ad ogni comunità col compito di riprenderlo, discuterlo e farne le debite considerazioni. Le comunità hanno risposto lo scorso giugno. Nel mese di settembre si svolgeranno due assemblee provinciali: i 17/18 settembre ad Albino e il 30 settembre/1 ottobre a Capiago. Il materiale prodotto servirà per la stesura dell’Instrumentum Laboris in vista del del Capitolo a giugno 2021.
Nel preambolo al documento “Restituzione delle comunità” affermate che un tema è stato “come coinvolgere i confratelli” in un percorso capitolare. Vi sembra di aver raggiunto questo obiettivo?
Ad oggi, i risultati sono stati superiori alle attese. I più ottimisti si erano esposti attorno al 30/40% di chi si sarebbe coinvolto. La partecipazione dei confratelli è stata superiore al 90% (il 10% riguarda gli ammalati gravi e pochissimi assenti ). Quasi tutte le comunità hanno inviato i verbali. Numericamente la soddisfazione è piena. Quello che più ci conforta sono i riscontri e le valutazioni fatte sul nostro lavoro: esso non è stato vissuto come il solito «pacco» obbligatorio, ha fatto sentire ciascuno importante e ascoltato; ha contribuito a far crescere la coscienza che la Provincia è ciascuno di noi e non solo affare del governo provinciale o locale. L’auspicio è che si possa mantenere questo livello fino al termine. Riusciremo? Per noi l’utopia è ormai pane quotidiano.
Per facilitare la comunicazione avete usato la metafora del semaforo: rosso, giallo e verde, chiedendo ai confratelli una valutazione. e dovessi indicare dove sta il rosso, il giallo, il verde della Provincia ITS che ci diresti?
Preciso che il verde indica quanto in Provincia va bene e va rafforzato; il giallo quanto fa fatica ed è da riprendere o per accelerare o per fermarsi come al semaforo; il rosso è quanto va stoppato al più presto. Le risposte variano e non sono univoche. Qualcuno vede rosso dove altri vedono il verde o vede verde dove altri preferiscono altri colori ed è bene che sia così.
È quasi scontato che il colore più gettonato sia stato il giallo perché i problemi aperti sono molti. La pastorale (Parrocchie, Santuari, Case di spiritualità, Sociale, Cultura) è la più sentita e bisognosa di chiarificazione. Il cambio sociale e religioso, la crisi economica mostrano come gli schemi passati siano inadeguati all’oggi e come sia necessario trovare percorsi nuovi. Insomma, vino nuovo in otri nuovi anche se il vino sarà sempre vino e gli otri il suo contenitore. Un secondo aspetto riguarda le persone: i giovani, gli anziani, i laici.
Spesso si è pensato ai giovani solo in chiave vocazionale. In passato la preoccupazione vocazionale ha condizionato parecchio, ha ingoiato disponibilità e risorse, con risultati molto scarsi. Ora la prospettiva è quella di una pastorale giovanile e di discernimento che può sfociare in una proposta vocazionale, ma non necessariamente. Per gli anziani la preoccupazione riguarda la loro cura, l’inserimento in comunità, il contributo che può venire a beneficio di tutti. L’anziano non è un peso, ma una risorsa.
Con i laici rimane aperto il tema della trasmisisione del nostro carisma, più che la collaborazione pratica. Altri temi sono la spiritualità, la formazione, la comunità e la vita fraterna, la Provincia. La spiritualità riguarda la salvaguardia dell’eredità ricevuta adeguandola alle sollecitazioni sociali e ed ecclesiali, attraverso lo studio e le buone pratiche da implementare. La formazione richiede percorsi personali e comunitari più concreti e la preoccupazione di far crescere nel laicato la nostra spiritualità. La comunità è il tema più critico che va dal rapporto tra il confratello e il progetto comunitario, al rapporto con il territorio, alla maggior conoscenza fra le comunità, ai pilastri che riguardano il nostro vissuto comunitario. Infine, per alcuni, vi è la percezione che la Provincia ITS stia navigando a vista senza un progetto. Emerge il tema dell’internazionalità e la richiesta di una amministrazione più vicina alle comunità e alle persone.
Il colore verde segnala cosa ci piace. La comunità come luogo di uno star bene umano e spirituale: piccolo, sobrio, rispettoso, cordiale, fraterno, stabile, autosufficiente; con un progetto a servizio della chiesa locale e del territorio; con maggiore informazione fra le comunità. Una seconda scelta condivisa riguarda la pastorale giovanile, vocazionale, universitaria. Una pastorale integrata e missionaria. La parrocchia è luogo di formazione alla fede, offre impegno a giovani ed anziani, è attenta alle realtà periferiche e richiede una formazione adeguata del personale. Le Case di accoglienza ed i Santuari curano la spiritualità, la riconciliazione e la formazione come posti strategici per l’incontro delle persone. Nel sociale trova condivisione l’attenzione ai minori, ai carcerati, agli anziani, alle nuove frontiere e potrebbe ben sposarsi con la spiritualità che richiede maggior attenzione per una crescita e conoscenza della vita e degli scritti del Fondatore.
Nel rosso vengono elencate quelle comunità che andrebbero chiuse perché non vivono la sinodalità, sono scarse nella vita fraterna ed hanno troppi progetti personali. Mal viste in genere le opere troppo grandi, quelle senza personale adeguato. Capitolo a parte sono gli ascritti per i quali dovrebbe prevalere il criterio del «transitorio». Al secondo posto ci sono le parrocchie senza una pastorale integrata e senza collaborazione con la chiesa locale. Emerge il tema legato alla Provincia che richiede una necessaria riforma degli organismi di governo, in particolare l’informazione, la comunicazione, la politica degli spostamenti , la lotta alla rassegnazione, al fatalismo, alla paura, le percezioni di un Consiglio Provinciale lontano, di criteri economici predominanti , di gruppi di pensiero che tendono ad imporsi su tutta la Provincia. Infine vi è una carrellata di nomi inerenti opere e comunità da chiudere.
Nei vostri incontri è emerso un tema in particolare: la comunità. Ci puoi spiegare meglio?
Il termine comunità appare come il più usato e abusato: va sempre bene a tutti, a chi lo esalta e a chi lo critica. È segno però che ne viene riconosciuta l’importanza. Non per nulla appare trasversalmente in tutte le risposte con sottolineature rilevanti . La comunità concreta ai più appare limitata o per mancanza di vera fraternità, o come rifugio comodo, o come contenitore di persone, o mancante di un progetto comunitario, o slegata dal territorio. Nessuno la esclude per principio (sarebbe peraltro un controsenso con la stessa vita religiosa), ma si auspica che divenga «segno» nella vita interna e per l’ambiente in cui si trova.
Mi sembra significativo che le attese siano superiori alle disattese. Senza pretendere di costruire luoghi che si realizzeranno solo al «banchetto della fraternità», emerge il desiderio di comunità con maggior impronta spirituale e dehoniana (preghiera, adorazione, lectio divina ad es.), dove la fraternità è il respiro quotidiano, dove lo star bene rasserena. Aumenta la sensibilità e la coscienza di testimoniare la sobrietà, la cordialità. Una impostazione e presenza a carattere familiare più che la somma di presenze eterogenee, individualiste, anonime. La comunità non è un luogo di garanzie (vitto e alloggio), ma di vita. Ancora, non è sufficiente la semplice osservanza di regole; cresce l’esigenza di una scelta convinta in cui ciascuno sia disposto a giocarsi. Insomma, una comunità di preghiera e apostolato, piccola, autosufficiente, accogliente, significativa e fraterna.
La Provincia ITS si è sempre contraddistinta per il grande impegno pastorale in molteplici campi: dalla pastorale parrocchiale, all’impegno sociale a quello culturale. Il futuro?
Il futuro è nelle mani di Dio. Nella nostra sintesi vengono individuati temi e problemi che lasciano intravvedere un futuro complicato, ma ancora possibile. Non manca il coraggio di sognare e di sperimentare novità legate alla vita fraterna, al territorio (scelta degli ultimi e collaborazione con i laici). Le due quasi comunità sociali avviate ultimamente vanno in questa direzione (nd.r: Bologna e Pisa). Il futuro non è legato tanto all’attenzione del fare, ma dell’essere. Si punterà su comunità più coscienti e vive, legate e maggiormente radicate al carisma dehoniano.
Pensare al futuro può causare preoccupazione, rassegnazione, scoraggiamento e molti sono i motivi: saremo sempre più anziani, ridotti numericamente, con strutture che pesano e che dovranno subire un’urgente riduzione perché nemmeno l’apertura a collaborazioni offerte dalla Congregazione o dal territorio potranno semplificare le cose. Eppure non manca nemmeno la voglia di vedere le risorse nell’anziano, opportunità nelle collaborazioni, snellezza nelle strutture, vita nuova nelle comunità. Se mi è concesso un’immagine, si vedrà una Provincia non bellissima, autosufficiente, numerosa, ma una «Provincia un po’ strabica» con un occhio rivolto alla realtà e l’altro all’utopia.
La spiritualità e l’adesione al carisma hanno ricevuto un posto di rilievo nella valutazione dei confratelli. Qual è lo stato di salute del carisma dehoniano in Italia? Il tema della pastorale giovanile vocazionale che posto occupa nella vostra Provincia?
Il passato ha certamente segnato e segna quanto la Provincia ha significato e significa. Spiritualità e carisma sono i binari che hanno permesso di investire sulle missioni, sul sociale, sulla cultura, sulla pastorale. Se posso osare, credo che spiritualità e carisma siano stati più incarnati che ricercati, ma sempre presenti. Oggi il verbo ridimensionare sembra sinonimo di impoverire. In realtà, dai vari con- tributi, emerge una gran voglia di spiritualità forse imprevista con alcune indicazioni: lo studio della spiritualità e del carisma del Fondatore, maggiore attenzione alle sollecitazioni dell’attuale momento sociale ed ecclesiale, buone pratiche da implementare a sostegno del vissuto spirituale dei singoli e delle comunità.
L’aspetto della pastorale giovanile vocazionale trova alcune indicazioni coraggiose: un impegno vocazionale dehoniano che non demorde e, sanamente, una «non preoccupazione delle vocazioni dehoniane» che non significa mancanza di coraggio, ma il coraggio della testimonianza. In molti viene sottolineato il consenso alla pastorale giovanile universitaria che muove i primi significativi passi. È anche vero che ciò è possibile perché ci sono confratelli che ci credono e si dedicano con passione: lo scambio di informazioni, iniziative ed esperienze è ormai un’abitudine tra chi è impegnato sul campo.
Tu, p. Marco e p. Antonio siete stati definiti i “tre Magi”. Come avete vissuto questo ruolo e che cosa avete imparato da questa esperienza?
I Magi hanno portato doni, ma credo che siano tornati più ricchi di prima. L’impegno è stato lungo e non è finito. Lo stress è stato sopraffatto dall’entusiasmo o dall’incoscienza. Al termine di ogni visita c’era vera soddisfazione. Inoltre, non è da tutti poter incontrare tutti i confratelli di una Provincia e a noi è stato riservato questo privilegio. Un conto è ricevere contributi scritti, altro è vedere le condizioni in cui certe affermazioni trovano origine: hanno un altro sapore. La nostra visita è stata più amicale che giuridica o istituzionale.
Questo ha creato un clima sereno, accogliente, libero. Da parte nostra non c’è stato alcun commento anche su affermazioni che potevano suscitare perplessità. Nostro compito era ascoltare, non giudicare o indirizzare. E imparare ad ascoltare e fare silenzio è stata una buona lezione. Devo aggiungere che i confratelli hanno fatto la loro parte nell’accoglierci e farci trovare a nostro agio, a volte viziandoci anche troppo, soprattutto nei pasti. Il risultato finale credo abbia arricchito noi e lasciato soddisfatti gli altri. I ringraziamenti ricevuti ne sono la conferma.
A mia volta, concedetemi di ringraziare Antonio e Marco che sono stati due compagni di viaggio ideali. Con loro sarei disposto ad affrontare altre fatiche e, prima o poi spero, troveremo il tempo per una pizza insieme.
Che consigli date ai confratelli di altre Provincie del mondo, che si interrogano su come coinvolgere i confratelli su larga scala?
Noi siamo partiti con l’idea che il Capitolo Provinciale non è un adempimento formale o istituzionale, ma è un’occasione o un’opportunità che sta a cuore a noi in primo luogo. Ancora, abbiamo scelto di fare cose che convincessero noi prima di convincere gli altri, di credere che ciascun confratello è una risorsa e nessuno va ignorato coscienti che si tratta della vita che io ho scelto e del mio futuro. Abbiamo lavorato intensamente rispettando la scaletta che ci eravamo dati. Il nostro metodo è stato costruito «in itinere» perché nessuno aveva le idee chiare fin dall’inizio.
Noi l’abbiamo trovato buono e bello. Il mandato iniziale ci ha garantito piena autonomia e questa ci è servita. Le varie proposte e iniziative sono sempre state discusse e decise assieme. È successo anche di lasciarci non pienamente soddisfatti, abbiamo trovato sempre il modo di comprenderci e superare gli attriti. Altro punto importante è stato quando abbiamo scelto i quesiti da porre negli incontri. Invece che sottoporre noi alcuni temi o problemi, siamo ricorsi a domande aperte in cui ciascuno potesse dire quali erano gli argomenti da trattare.
Il rischio era di raccogliere dati parziali e per questo l’incontro col Consiglio Provinciale è servito ad integrare temi importanti che sarebbero stati sottaciuti. Se ci sia un metodo standard non lo so. Credo che i percorsi e i modi di scalare una montagna siano molti e tutti possibili, basta crederci ed essere credibili. Una motivazione convinta fa superare ogni ostacolo legato alla quantità, alla distanza, al tempo, allo stress. Provare per credere.
Grazie a chi ci leggerà. Le risposte sono mie, ma integrate con il contributo di p. Antonio e p. Marco. Un augurio di cuore a chi vorrà imbarcarsi nell’impresa. Il Cuore di Gesù ed il quasi beato p. Dehon ci benedicano, accompagnino e proteggano.